LA PROMESSA DELL’ASSASSINO

DI FRANCESCO MININNI

E’ strano che, dopo un film di sicuro impatto come «History of Violence» cui la distribuzione aveva mantenuto il titolo originale, ritroviamo David Cronenberg, per la prima volta lontano dal Canada, alle prese con il titolo italiano più incomprensibile e fuorviante di tutta la sua carriera. «Eastern Promises» (promesse dell’est, letteralmente) diventa infatti «La promessa dell’assassino» che, oltre ad essere un titolo da feuilleton, crea aspettative che il film disattende. Ma è anche strano che, dovendo gestire un difficilissimo equilibrio tra melodramma criminale e drammaturgia esistenziale seguendo strade che lo portano a incontrare qualche ostacolo particolarmente difficile da superare, Cronenberg ritrovi improvvisamente una unanimità di consensi che potrebbe far pensare a un capolavoro che, a nostro modo di vedere, non c’è.

A Londra, in un quartiere controllato dalla mafia russa (Vory v Zacone), una ragazzina muore lasciando una neonata. L’ostetrica che l’ha fatta nascere vorrebbe trovare qualche parente per evitarle l’affidamento o l’adozione previsti. Ma ha a disposizione un diario, scritto in russo, e la necessità di trovare qualcuno che lo possa tradurre. La persona prescelta, naturalmente, è il più duro dei capimafia. Di più, ha un figlio coinvolto ed è responsabile in prima persona dello stupro e della maternità della defunta. Il personaggio-chiave della vicenda è l’enigmatico, impenetrabile autista, uomo di fiducia del padre e amico del figlio.

Chi conosce Cronenberg sa che il suo fatalismo, il suo materialismo e la sua fisicità (nel senso della corruzione della carne) sono incrollabili. Forse per questo si rischia di perdersi nei meandri di una storia che, alla fin fine, ci risparmia l’ultimo orrore e sembra comunque indirizzata verso una semplice dichiarazione di impotenza. Seguendo il personaggio di Nikolai (Viggo Mortensen), si ha in un primo tempo l’impressione di trovarci di fronte a una perfetta macchina di morte, ottimamente bilanciata dall’inettitudine del figlio del capo, Kirill (Vincent Cassel), e dalla glaciale cattiveria del capo stesso (Armin Müller-Stahl, il più bravo di tutti). Di rimando, la normalità dovrebbe essere rappresentata dalla giovane ostetrica (Naomi Watts), un personaggio arricchito da origini russe che le sono tuttavia lontane. Quando però Cronenberg cambia le carte in tavola e dà notizie impreviste e imprevedibili sull’identità di Nikolai, ci riesce molto difficile seguire la presunta tematica del film. Sappiamo soltanto che un destino molto beffardo ha deciso che Nikolai, chiunque egli sia, sembra destinato a rimanere nel giro del crimine a causa di una sorta di transfert kafkiano. E allora ci sorge un dubbio: che, attentissimo a controllare lo stile per non far cadere il film nelle trappole del melodramma, Cronenberg abbia dimenticato che, a livello narrativo, era comunque col melodramma (e diciamo pure col teatro elisabettiano di cui Marlowe è stato uno dei massimi rappresentanti) che si stava confrontando, optando così per snodi del racconto non compatibili con il progetto iniziale. Così, se da una parte si apprezza l’andamento altalenante tra violenza freddamente controllata ed esplosioni di fisicità estrema, non si riesce a capire fino in fondo l’intenzione tematica dell’autore (chiarissima, ad esempio, in «History of Violence»). E riemerge la domanda di sempre: Cronenberg racconta del malessere di vivere con occasionali compiacimenti di sadica efferatezza o parte da un’esplorazione più o meno esasperata della carne in disfacimento con occasionali escursioni nel malessere di vivere?

LA PROMESSA DELL’ASSASSINO (Eastern Promises) di David Cronenberg. Con Viggo Mortensen, Naomi Watts, Vincent Cassel, Armin Müller-Stahl. GB 2007; Drammatico; Colore