LA POLVERE DEL TEMPO

DI FRANCESCO MININNI

Una delle peculiarità dello stile di Theo Angelopoulos, settantacinquenne regista greco di indubbi serietà e rigore ma altrettanto indubbiamente sopravvalutato, è il frequente ricorso al simbolismo, alla trasfigurazione poetica (non a caso tra i suoi sceneggiatori di fiducia c’è Tonino Guerra), a un diverso modo di leggere la storia. Il fatto che ne «La polvere del tempo» il protagonista sia un regista chiamato A, con una madre e una figlia chiamate entrambe Eleni, che sta preparando un film sulla propria famiglia che inevitabilmente investe la storia della Grecia, della Germania e della Russia dal dopoguerra ad oggi, ci fa capire subito due cose: che Angelopoulos continua a preferire le strade strette e che il compito dello spettatore sarà tutt’altro che agevole. È evidente, ad esempio, che il ricorso di un nome e, nell’altro caso, la semplice iniziale prefigurano qualche scenario ora kafkiano ora freudiano con una certa preferenza per il secondo. Ciò trasforma il film in una sorta di seduta di autoanalisi che, di solito, porta più giovamento all’autore che al pubblico. In effetti «La polvere del tempo» mostra un’ansia simbolica che finisce per rivoltarsi contro Angelopoulos impedendogli di svolgere con serenità il compito scelto e conseguentemente di raggiungere l’obiettivo.

Dicevamo di A. Si aggira per una città piuttosto fredda e impersonale attraversando luoghi caratterizzati dalla presenza di macerie e, in un caso, da una gran quantità di televisori distrutti. Sta cercando sua figlia Eleni, irrequieta e poco disposta al dialogo, probabilmente traumatizzata dalla separazione dei genitori. Ma sta anche realizzando un film sulla propria famiglia, che gli consente di viaggiare nel tempo tra la dittatura dei colonnelli, il crollo del muro di Berlino e la storica fine del comunismo. A complicare le cose ci si mette l’arrivo della madre, ancora Eleni, accompagnata dal marito Spyros e attesa dal sempre innamorato Jacob.

A questo punto, naturalmente, si pone la domanda essenziale: quanto di quello che stiamo vedendo accade (o è accaduto) veramente e quanto invece faccia parte di un film in divenire che sta prendendo forma sotto i nostri occhi. In realtà la questione non è così vincolante, perché in ogni caso Angelopoulos se ne serve per la sua alternanza di piani (quella sì, essenziale) tra vita pubblica e vita privata, per dimostrare quanto la prima possa interferire con la seconda e quanto poco la seconda possa cambiare direzione alla prima. La conclusione, che vede Jacob suicida a causa di delusioni politiche e Eleni (la madre) deceduta per una sorta di sfinimento dopo essere riuscita a ritrovare e riportare a casa la nipote (l’altra Eleni), fa pensare che tutto sommato all’autore non interessassero le proprie vicende autobiografiche se non in quanto movente per poter raccontare nuovamente la storia del proprio paese (e anche di qualcun altro). E la conclusione vera, Spyros e Eleni (ovverosia un vecchio e una bambina) che si allontanano mentre sta cadendo una neve palesemente falsa, ci riporta al problema principale de «La polvere del tempo»: un simbolismo che, a mo’ di schiacciasassi, distrugge tutto quel che incontra sul cammino, finendo per trasformare il film in una sorta di autocitazione ininterrotta di quelle opere che, in effetti, avevano fatto pensare ad Angelopoulos come a un grande narratore di storie contemporanee con la mediazione insostituibile della cultura classica. Certo, gli attori gli rendono sempre un buon servizio: da Michel Piccoli a Bruno Ganz a Iréne Jacob, si fatica a individuare un cedimento di tensione in un’interpretazione estremamente complessa e sfaccettata. A lasciare interdetti, stavolta, è proprio Angelopoulos: come se, invecchiando, stesse perdendo la capacità evocativa che nessuno gli disconosce trasformandola in un simbolismo tambureggiante, ripetitivo e sovente superfluo. Se A, come sembra evidente, è lui, bisogna concludere che «La polvere del tempo», a voler essere benevoli, è uno studio incompiuto su un film ancora da farsi.

LA POLVERE DEL TEMPO (I skoni tou hronou) di Theo Angelopoulosi. Con Willem Dafoe, Irene Jacob, Michel Piccoli, Bruno Ganz, Tiziana Pfiffner. GR/I/D/F/RUS 2008; Drammatico; Colore