LA NOSTRA VITA

DI FRANCESCO MININNI

Unico film italiano in concorso al festival di Cannes, «La nostra vita» di Daniele Luchetti ha da offrire motivi di interesse e motivi di rammarico. Raccontare il presente, la povera gente, quelli che durano fatica a sognare immersi in un continuo bagno di realtà, i lavoratori che devono fare i conti con le bollette da pagare e la spesa da fare, una provincia virtuale che prende forma a un passo dalla metropoli, l’insanabile conflitto tra essere e avere, presenta le stesse difficoltà di avventurarsi in un regno di fate, orchi e troll: già tanto è stato detto e fatto, si corre il rischio di adagiarsi su una maniera che esclude sincerità e inventiva a beneficio di materiale di repertorio. Luchetti ne è consapevole. Sa, ad esempio, che determinate situazioni drammatiche possono immediatamente evocare il reame della fiction televisiva cancellando d’un colpo verità e realismo.

E, per aggirare l’ostacolo, sceglie di girare «La nostra vita» con uno stile nervoso e aggressivo, senza mai abbandonare i personaggi, stando addosso al protagonista all’occorrenza anche con la camera a mano di modo da escludere la possibilità di un rilassamento che indurrebbe il pubblico a interrogarsi sul reale spessore della vicenda. La missione è compiuta soltanto in parte: anche così su «La nostra vita» incombe la minaccia del melodramma che, dopo tanta sofferenza, si rivela pilotato verso qualche soluzione troppo facile.

Claudio è un operaio edile. Sposato con Elena, ha due figli e un terzo in arrivo. Quando la moglie muore di parto, la sua vita inevitabilmente cambia. Per equilibrare le esigenze del lavoro e quelle dei figli, ha bisogno dell’aiuto di parenti e amici che a turno si prestino come baby-sitter. Ma ha anche bisogno di qualche certezza sul lavoro e, dopo un mezzo ricatto legato alla morte di un sorvegliante sul cantiere, ottiene il subappalto di una palazzina. Ovviamente, conoscerà tutte le difficoltà dell’imprenditore improvvisato e rischierà il tracollo. Sarà ancora la famiglia, ovvero un fratello e una sorella, a dargli modo di risollevarsi e continuare.

«La nostra vita» si lega idealmente al film precedente di Luchetti, «Mio fratello è figlio unico», che si concludeva con la distribuzione delle chiavi di appartamenti sfitti a gente in attesa da parte di Elio Germano. Qui, invece, Elio Germano costruisce case. Ma, soprattutto, è impegnato a costruire se stesso nel difficile atto di comprendere come dare ai figli macchine elettriche e play station non sia tutto ciò di cui i bambini hanno bisogno. Su questo asse principale si innesta il difficile rapporto con il prossimo: parenti, amici, conoscenti occasionali, personale del cantiere e un brutto fantasma del passato. È fondamentale, infatti, l’importanza del personaggio (senza parole, ma dai silenzi fragorosi) del guardiano morto, che inserisce anche la tematica del rapporto con gli extracomunitari nelle persone della vedova e del figlio e che stabilisce uno stretto legame con il cinema dei Dardenne, più specificamente con «La promesse». Alla fine, può anche darsi che Luchetti metta troppa carne al fuoco concentrando in un personaggio solo tutte le tematiche che l’attualità gli suggerisce, e può darsi soprattutto che qualche personaggio (la vedova) e qualche soluzione narrativa (la conclusione obiettivamente frettolosa e in qualche modo consolatoria) costringano «La nostra vita» più nell’ambito della fiction che dell’indagine sociale e umana. Ma alcune scene realmente toccanti («Anima fragile» di Vasco Rossi cantata a squarciagola al funerale di Elena) e la convincente interpretazione di Elio Germano di un personaggio tutt’altro che lineare e facile, fanno sì che il giudizio sull’opera possa dirsi complessivamente positivo.

In fin dei conti, i problemi sollevati sono reali e attuali e lo stile di Luchetti è tale da riuscire comunque a tenerci sul filo dell’angoscia senza che le facilitazioni spettacolari impongano una consolazione decisamente improponibile. È evidente, infatti, come l’autore sia consapevole delle tristezze rappresentate. Se c’è qualche forzatura, è dovuta al fatto che Luchetti non riesce a rendere la speranza altrettanto credibile del pessimismo. Qui, davvero, i Dardenne rappresentano un altro pianeta.

LA NOSTRA VITAdi Daniele Luchetti. Con Elio Germano, Isabella Ragonese, Raoul Bova, Giorgio Colangeli, Luca Zingaretti.ITALIA 2010; Drammatico; Colore