La mia vita con John F. Donovan
Difficile scrollarsi di dosso l’impressione che, al momento, il tanto decantato talento di Xavier Dolan sia qualcosa di unidirezionale che, a cose fatte, continua a raccontare la stessa storia in forme diverse. Almeno è ciò che ci è venuto da pensare vedendo Mommy, È solo la fine del mondo e, adesso, La mia vita con John F. Donovan.
Che Dolan sia capace di girare un film, ormai è una verità evidente. Ma che questa sua bravura tecnica la applichi ossessivamente a problematiche personali che si riconducono a una sorta di autoanalisi ininterrotta, è senza dubbio un’altra verità. Lo si desume dalla rappresentazione dei legami familiari, dai complessi rapporti con i genitori (soprattutto con la figura materna) e dalla ricerca costante, quasi disperata, di un’alternativa che a quanto pare è difficile da trovare.
Ci sono poi altre costanti, come i riferimenti all’omosessualità che non facilita le cose e le problematiche di una crescita che è sempre e comunque piena di ostacoli e penalità.
Si dirà che non è niente di diverso da quanto continua a raccontare Woody Allen, che almeno ogni tanto studia qualche brillante soluzione alternativa. Nello specifico, La mia vita con John F. Donovan non fa che accentuare le ripetizioni e i difetti, trattandosi a tutti gli effetti di uno dei film di Dolan che è stato soggetto a maggiori traversie produttive, che è stato rifiutato a Cannes, che è il primo ad essere ambientato fuori del Canada e quindi parlato in inglese, che soprattutto è quello in cui si rende evidente come per Dolan sia il momento di lasciare l’ossessione autobiografica e di percorrere altre strade.
La storia è raccontata in flashback all’interno di un’intervista che la giornalista Audrey Newhouse fa controvoglia al giovane attore Rupert Turner, legatissimo fin da bambino alla star televisiva John Francis Donovan, con il quale ha intrattenuto un lungo rapporto epistolare interrotto dalla morte per overdose del suo idolo. A quanto pare Rupert, che sognava di fare l’attore, e John, che lo era, avevano in comune una quantità di cose. I difficili rapporti con la famiglia (ovvero la madre), l’omosessualità, la difficoltà a trovare un posto nella vita. Così, lettera dopo lettera, l’adorazione di Rupert dovrà prendere atto del fatto che anche un idolo può riservare delusioni. Niente, tuttavia, che faccia diminuire la sua voglia di essere attore e il desiderio di convincere il mondo di questo. Anche Audrey, alla fine, dovrà prendere atto del fatto che ci sono grandi problemi mondiali che non necessariamente contano più dei grandissimi problemi personali.
Dolan gira letteralmente addosso ai suoi personaggi, quasi a voler costruire un microuniverso nel quale sia veramente difficile respirare. Il messaggio arriva. Ma succede che, molto concentrato sul come, Dolan finisca per perdere di vista il cosa. Ripetizioni a parte, si ha l’impressione che manchi l’indispensabile interazione tra Rupert e John, i quali sembrano abitare due mondi diversi e che (non a caso) non si incontrano mai.
Quel che invece continua a battere ossessivamente sul tamburo è la figura materna: prima Natalie Portman, la madre di Rupert, poi Susan Sarandon, la madre di John, e infine Kathy Bates, l’agente di John concepita palesemente come una riproposta delle caratteristiche materne. Si direbbe che Dolan, puntando l’indice contro l’istituzione materna, si sia dimenticato della componente filiale salvo recuperare con qualche (lo avreste mai detto?) scena madre rivelatrice.
È insomma evidente come La mia vita con John F. Donovan scopra molto presto le carte tematiche e poi non possa fare altro che ripeterle all’infinito. Così si ottiene un risultato tecnicamente eccellente, ma inevitabilmente incapace di accendere la fiamma della passione, della novità o anche semplicemente dell’empatia. La vita è un labirinto, un carcere, una salita ripida? Forse, ma ce lo avevano già detto in tanti.
LA MIA VITA CON JOHN F. DONOVAN (The Death and Life of John F. Donovan) di Xavier Dolan. Con Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates. USA 2018; Drammatico; Colore.