La mafia uccide solo d’estate

Diliberto, a quanto pare, conosce bene i fatti che racconta e, senza evitare qualche problema di forma e composizione dovuti alle imperfezioni di un esordio, ha il coraggio di affrontare la mafia con il tono giusto e riesce addirittura a toccare il cuore con una continua alternanza tra sorrisi e ganci allo stomaco che ottiene l’effetto voluto: il racconto della verità come può apparire agli occhi di un bambino.

Il bambino è Arturo, che fin dalla sua nascita è stato in qualche modo legato ad eventi di mafia. Sotto i suoi occhi passano Boris Giuliano, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Salvo Lima. E mentre tante persone, anche a lui molto vicine, continuano a sminuire gli eventi, a parlare sempre di questioni di donne e a insistere sul fatto che la mafia non uccide (o, come dice suo padre, uccide solo d’estate), Ernesto vede questi personaggi uccisi uno dopo l’altro con modalità inequivocabili. Così, mentre non viene mai meno il suo amore non corrisposto per la compagna di scuola Flora, matura in lui la ferma convinzione di diventare giornalista, in modo da poter scrivere la verità e dire al mondo come stanno le cose.

Arturo è una sorta di testimone innocente e, in qualche modo, onnipresente. Diliberto lo immagina in confidenza con Giuliano, che gli fa scoprire una deliziosa pasta alla ricotta, con Chinnici, che è l’unico depositario del segreto del suo amore per Flora, e persino di Dalla Chiesa, che riuscirà ad intervistare eludendo la blanda sicurezza del palazzo. Il difetto di Arturo è quello di aver idealizzato la figura di Giulio Andreotti: un album di ritagli di giornale, un poster in camera da letto, un altro nella cabina sulla spiaggia e persino un travestimento a una festa mascherata in parrocchia (dove riceverà il premio da chi lo ha scambiato per il gobbo di Notre Dame). Col passare del tempo Arturo dovrà prendere atto che non sempre le parole e le azioni dell’onorevole potranno essere considerate «fonti attendibili».

Al di là di accuse più o meno velate alla classe politica e a eminenti rappresentanti del clero, «La mafia uccide solo d’estate» trae la sua forza dalla capacità che Diliberto rivela di saper mostrare gli eventi narrati tenendo sempre conto del punto di vista di chi ascolta e osserva. Si dimostra bravo, soprattutto, nell’evitare accuratamente che qualunque tristezza finisca in risata. La risata è un passaggio intermedio attraverso il quale ci si ritrova improvvisamente nel dramma: esemplare in questo senso la difficoltà di Totò Riina nel capire l’uso dei telecomandi salvo colmare ogni lacuna il giorno dell’attentato a Falcone.

Il senso di tutto questo è che, se l’ironia fa parte del Dna di Diliberto, un attento autocontrollo e una precisa consapevolezza della materia affrontata gli permettono di non farle superare i limiti e lo portano a una conclusione realmente toccante nella quale, prima che i volti delle vittime di mafia riempiano tutto lo schermo, lui procede con fermezza sulla strada di insegnare al figlio le persone che ha conosciuto, gli eventi cui ha assistito e la differenza che intercorre tra bene e male. È proprio vero che chi cerca di proteggere i propri figli dal male dovrebbe anche insegnar loro a saperlo riconoscere. Ed è anche vero che la verità, da qualunque parte venga, è sempre la benvenuta.LA MAFIA UCCIDE SOLO D’ESTATE di Pierfrancesco Diliberto. Con Pif, Cristiana Capotondi, Claudio Gioè, Ninni Bruschetta, Alex Bisconti. ITALIA 2013; Commedia; Colore