La grande democrazia nata dalla violenza: «GANGS OF NEW YORK»
La New York del 1844 è un luogo di anarchia, senza legge che non sia quella della sopravvivenza, senza sentimenti che non siano odio e rancore, senza tutori dell’ordine, senza governanti. Eppure ci sono i poliziotti, gli uomini politici, gli sceriffi. Ma la legge sono le gang a farla: da una parte i «nativi» guidati da Bill Cutting detto il macellaio, dall’altra una congerie di immigrati, in prevalenza irlandesi, che reclamano il loro diritto a vivere in terra straniera. Ucciso il «prete» Vallon durante uno scontro di strada, Bill diventa il capo assoluto. Almeno finché, sedici anni dopo, il figlio di Vallon, Amsterdam, torna a farsi vivo per vendicare la morte del padre. E intanto New York è in tumulto: la vicenda si concluderà durante la più cruenta sommossa urbana della storia americana. Che, chissà perché, i libri di storia ignorano sistematicamente.
A dire il vero, il bello di «Gangs of New York» è che la vicenda non si conclude. Sullo sfondo delle macerie, con una bellissima serie di effetti successivi, Scorsese ci mostra il nascere e l’espandersi dell’odierna Big Apple. Con sullo sfondo quelle torri gemelle a ricordarci che chi semina vento raccoglie tempesta e che la violenza è sempre e comunque insensata e inutile.
Bello, compatto, emozionante e soprattutto sensato, «Gangs of New York» è la conferma di un talento a 360°, capace di usare la violenza (e, credeteci, ce n’è nel film) per raccontarci quanto sia brutto costruire una nazione sull’odio e sulla morte. Con collaboratori tecnici straordinari (uno per tutti: il direttore della fotografia Michael Ballhaus), attori in stato di grazia (su tutti Daniel Day-Lewis, indimenticabile Bill il macellaio) e la voglia di fare un kolossal che, andando oltre lo spettacolo, diventa una lezione di storia.
GANGS OF NEW YORK (Id.) di Martin Scorsese. Con Leonardo Di Caprio, Daniel Day-Lewis, Cameron Diaz. USA 2002; Drammatico; Colore