La frode

Poi, sappiamo soltanto che il film di Jarecki racconta di un intrigo molto complesso ambientato nel mondo dell’alta finanza. Inevitabile ricordare «Wall Street» (1 e 2) di Oliver Stone e altrettanto inevitabile pensare che Gere non avrebbe grandi chance di eguagliare il Gordon Gekko di Michael Douglas. Qui, però, si fermano ipotesi e illazioni e subentra la solita grande verità: mai parlare di un film prima di averlo visto.

A cose fatte, infatti, nonostante aggiustamenti della sceneggiatura, forzature drammatiche funzionali al progredire degli eventi e banalità di repertorio a quanto pare inevitabili, «La frode» ha dalla sua un’arma non trascurabile: l’assenza di qualunque forma di moralismo che porta, nell’evoluzione del racconto, a una rappresentazione molto dura e con pochi orizzonti di speranza di un mondo che, per sua natura, ha fatto della falsità un elemento fondamentale. Falsità nei rapporti di lavoro, falsità nell’immagine trasmessa ai media, falsità nei rapporti familiari. Nei suoi momenti migliori, «La frode» va oltre Oliver Stone rinunciando a qualunque tipo di accomodamento etico.

Robert Miller, titolare di un impero finanziario, a causa di investimenti sbagliati e di un’operazione particolarmente rischiosa, è sull’orlo del fallimento. Per evitare il crac, Robert è costretto a coprire il «buco» con una somma virtuale sperando che nel frattempo il rivale Mayfield sblocchi una estenuante trattativa e si decida ad acquistare la sua società. Se i problemi fossero tutti qui, si potrebbe persino dire che Robert avrebbe bisogno solo di un po’ di fortuna. Ma è ovvio che Robert, che forma con la moglie Ellen e la figlia Brooke una famiglia perfetta, abbia anche movimenti extraconiugali. Meno ovvio, ma prevedibile, che il rapporto con Julie sia interrotto tragicamente da un incidente stradale. Robert non può esporsi pubblicamente e coinvolge un giovane di colore, Jimmy, che è in debito di gratitudine con lui. Se però il poliziotto incaricato delle indagini vuole veramente vederci chiaro, le cose potrebbero enormemente complicarsi. Ci fermiamo qui, facendo presente che naturalmente la parte pubblica e la parte privata dovranno in qualche modo interagire.

Dovessimo giudicare «La frode» come un semplice thriller, la sentenza sarebbe poco benevola. Tutti gli episodi riguardanti la relazione con Julie sono infatti precotti e già da tempo digeriti. L’incidente stradale è evidentemente una soluzione necessaria ma terribilmente mal costruita. Il coinvolgimento di Jimmy (passateci la battuta: proprio il negro del film) è strumentale e per niente approfondito. Persino il detective Bryer, interpretato da Tim Roth, procede a forza di schematismi che ne prefigurano il fallimento. Se però ci soffermiamo ad analizzare l’altro (e più forte) nucleo narrativo del film, cioè la famiglia di Robert, lo scenario cambia. Nel momento in cui ci si rende conto che abdicando a sentimenti, sincerità e principi si può rimettere tutto a posto, guadagnare un premio alla carriera, salvare l’impero pur delegando il timone a qualcun altro e, soprattutto, mantenere pubblicamente l’apparenza di brava persona, buon marito e amoroso padre di famiglia, si resta lì inutilmente in attesa che accada qualcos’altro e si prende atto del fatto che ormai più nulla può accadere. E «La frode» diventa improvvisamente un reportage sul nostro tempo, non più quello del «vorrei ma non posso», ma piuttosto quello del «potrei ma non voglio».LA FRODE (Arbitrage) di Nicholas Jarecki. Con Richard Gere, Susan Sarandon, Tim Roth, Brit Marling, Laetitia Casta, Nate Parker, Graydon Carter. USA 2012; Drammatico; Colore