La felicità è un sistema complesso
Se dramma dev’essere, dramma sia. E questo non tanto per accentuare i toni, ma per evitare ogni possibile distrazione su un argomento che a quanto pare gli sta molto a cuore e che, anche più dei due casi precedenti, invoca l’attualità e un certo modo di intendere il mondo del lavoro che in giro per il mondo sembra sempre più diffuso e francamente inquietante. Anche Costa-Gavras aveva dedicato un film all’argomento, «Cacciatore di teste» del 2005, e più recentemente, nel 2009, lo aveva affrontato Jason Reitman in «Tra le nuvole». Genericamente, il cacciatore o tagliatore di teste è quella figura che, con cinismo e senza umanità, si occupa di sfoltire i ranghi delle aziende in tempi di crisi.
La differenza tra il ruolo generico e quello del protagonista del film di Zanasi, Enrico Giusti, è che lui è abbastanza convinto di svolgere un’attività socialmente utile, che cioè la sua bravura nel convincere dirigenti d’azienda palesemente non interessati al ruolo o incapaci di sostenerlo a firmare la cessione a beneficio di altri gruppi italiani o stranieri che provvederanno a sanare la situazione e a impedire la chiusura sia in fin dei conti un modo per salvare il posto di lavoro di una gran quantità di lavoratori a rischio di licenziamento. Certo, qualche dubbio gli viene. Le sue richieste di destinare le aziende a gruppi solidi che possano garantire il mantenimento della gran maggioranza del personale restano quasi sempre inascoltate. Il suo principale, e il figlio del principale, lo riempiono di onori e complimenti facendolo sentire il numero uno. Ma qualche elemento esterno, nella fattispecie una ragazza israeliana entrata a piedi uniti nella sua vita e poco disposta a sostenere le sue ragioni, comincia lentamente a incrinare le sue certezze. Che subiscono un fiero colpo quando gli si presenta il caso di Filippo e Camilla, fratello e sorella, rimasti improvvisamente orfani e titolari di un’azienda quotata in Italia e all’estero. Secondo Enrico, Filippo potrebbe occuparsi dell’azienda se adeguatamente assistito. Agli altri, invece, interessa soltanto concludere l’affare senza curarsi delle modalità, ma solo del risultato. E a Enrico toccherà prendere una posizione.
Zanasi non concede niente, ma proprio niente, allo spettacolo più facile e rassicurante. La sua tecnica consiste nel seguire passo passo il personaggio di Enrico Giusti e rivelare progressivamente, senza colpi di teatro, il suo cambiamento. Questo non porta a un cambio di passo spettacolare che preveda un ribaltamento di ruoli e una battaglia da un diverso punto di vista. Porta semplicemente alla perdita del posto di lavoro e a una prospettiva di libertà interiore. Il seguito è lasciato allo spettatore, che comunque non dovrebbe uscire dal cinema con la sensazione di aver assistito a una storia senza conclusione. Dovrebbe invece considerare quanto sarebbe suonato falso e consolatorio se Giusti fosse improvvisamente diventato il paladino degli oppressi mettendosi di punto in bianco a combattere contro i suoi ex datori di lavoro.
«La felicità è un sistema complesso» non è così. A tutte le domande che pone nel corso del racconto preferisce dare una prima risposta, la più essenziale, senza la quale non ci sarebbe seguito. E lo fa con uno stile essenziale, senza fronzoli, affidandosi a un protagonista come Valerio Mastandrea, capace di introspezione e riflessione, ma soprattutto perfettamente a proprio agio come testimone del presente. Certo, ci resta dentro la triste conclusione che in un mondo di squali sia veramente difficile essere pesci comuni che non fanno dell’aggressività il loro marchio di fabbrica. La contrapposizione tra avere ed essere è sempre più urgente e reale.