LA DURA VERITÀ
DI FRANCESCO MININNI
Ritorniamo a un nostro pensiero di qualche anno fa che a quanto pare, oltre ad avere un fondamento, è sempre d’attualità: la commedia brillante, più o meno sofisticata, è il genere principe del cinema americano. E la ragione è semplice: la battaglia (o guerra, nei casi più estremi) tra i sessi non passerà mai di moda. Non solo: sembra proprio che, avendo per le mani un soggetto praticabile, anche un regista di medio calibro come Robert Luketic («La rivincita delle bionde», «Quel mostro di suocera», «21») possa condurre la barca in porto senza troppi danni. Accade con «La dura verità», che quanto a originalità vale un contadino in un campo ma riesce comunque a rivendere la mercanzia procurando quel tanto di divertimento che consente di tornare a casa senza aver l’impressione di aver perso tempo prezioso.
Abbie Richter, donna in carriera e produttrice televisiva, annaspa un po’ con gli ascolti ed è marcata stretta dai dirigenti che vorrebbero più «numeri». A sua insaputa viene ingaggiato Mike Chadway, principe del trash, che con bordate di maschilismo sfrenato dà consigli alle donne senza essere né gentile né accomodante. Dal momento in cui gli ascolti vanno a mille, Abbie deve ingoiare il rospo e fare buon viso, tanto più che Mike sembra in grado di aiutarla anche nel privato. Sarà lui, infatti, a darle qualche dritta per trasformarsi da algida donna d’affari in spericolata seduttrice e mettere così con le spalle al muro il bel chirurgo ortopedico su cui ha messo gli occhi. Se a questo punto non avete neanche una lontana idea di come andrà a finire, la domanda è: venite forse da Marte?
Anche semplicemente scorrendo le linee generali della vicenda, è già possibile individuare nel passato recente un film cui «La dura verità» deve, se non tutto, moltissimo: si tratta di «Hitch», in cui Will Smith trasformava uomini timidi e/o impediti in inappuntabili seduttori. E già abbiamo scoperto che il film di Luketic non è affatto originale. Con un minimo di attenzione in più (ma proprio poca) avremo anche capito come andrà a finire la vicenda: quindi il film di Luketic non riserva sorprese a livello di racconto e, nel complesso, può dirsi prevedibile. Aggiungiamo che la protagonista Katherine Heigl, che figura anche tra i produttori del film, non è certo un campione di simpatia. E allora, santo cielo, perché ci siamo divertiti per quasi tutto il film senza preoccuparci più di tanto di prevedibilità, antipatia e scopiazzature? Ma perché «La dura verità», rispetto a tanti esempi di commedie recenti, ha una sceneggiatura fatta di dialoghi, ha un ritmo dialettico e d’azione più che soddisfacente, ha un protagonista (Gerard Butler) che si spoglia completamente dei panni romantici de «Il fantasma dell’Opera» per calarsi con naturalezza in quelli di un trucidone un po’ sovrappeso, ha insomma la possibilità di far sì che uomini e donne, anche solo per il breve spazio di un’ora e mezza, si immedesimino in situazioni e personaggi che (ovviamente con esiti diversi) potrebbero capitare anche a loro. Ne esce un film che, se esaminato a freddo, rivela pecche e difetti, ma che nel suo fluire scorrevole verso la più prevedibile delle conclusioni non consente di riflettere sugli errori di un percorso che, bene o male, ci appartiene. E soprattutto ne esce un film che, pur trattando di argomenti anche piuttosto delicati, conserva un certo gusto che finisce col rendere esilarante anche una gag decisamente grossolana come quella degli slip con vibratore incorporato controllabili con telecomando (tutto molto simile alla simulazione dell’orgasmo di Meg Ryan al ristorante in «Harry ti presento Sally»). Certo, non è alta cucina. Ma talvolta un buon piatto rustico, sia pur dai sapori troppo marcati, può dare una certa soddisfazione.
LA DURA VERITÀ (The Ugly Truth) di Robert Luketic. Con Katherine Heigl, Gerard Butler, Bree Turner, Eric Winter, Nick Searcy, Jesse D. Goins. USA 2009; Commedia; Colore