La corrispondenza
«La corrispondenza» conferma questa tendenza e anche il fatto che non si tratta mai di amori lineari: Tornatore racconta la fine dell’amore, l’illusione dell’amore, l’amore tormentato, persino l’assenza dell’amore. Mai l’amore in senso pieno e compiuto. Nel caso presente, mantenendo alcune caratteristiche un po’ surreali e un po’ da thriller anomalo già presenti ne «La migliore offerta», racconta un amore imperfetto ma totalizzante che, per la protagonista Amy, diventa un’ossessione terapeutica che l’aiuterà a scacciare i fantasmi del passato.
Il professor Ed Phoerum, sposato e con figli, intrattiene una relazione potente ma episodica con Amy Ryan, una studentessa fuori corso che ha due anni in meno di sua figlia. L’improvvisa morte dell’uomo, che le aveva deliberatamente taciuto della propria malattia, getta Amy nello sconforto per poco. Pare infatti che Ed abbia organizzato minuziosamente una rete di sms, lettere, dvd e persino regali che le impediranno, per così dire, di liberarsi di lui a meno di non volerlo veramente. La cosa pare assumere per Amy i contorni della psicosi: non l’aiutano il ricordo del padre morto in un incidente automobilistico da lei provocato né la sua attività lavorativa di stuntman in scene altamente pericolose. Chissà che Ed, dall’aldilà, non le stia mandando qualche elemento curativo.
Ciò che salta agli occhi, ne «La corrispondenza», è il lavoro tecnico di Tornatore. La fotografia di Fabio Zamarion cattura paesaggi e volti, la musica di Ennio Morricone intensifica sia le punte drammatiche che le cadute verticali. Ma a lungo andare viene il sospetto che il film sia soltanto un lavoro tecnico, senza che ad esso corrisponda una conseguente caratura psicologica e drammaturgica.
Cominciamo col dire che il piano post mortem studiato da Ed sembra davvero troppo lambiccato per essere credibile. E appare anche pretenziosa la volontà dell’autore di costruire tutto il film come un assolo di Olga Kurylenko che, pur brava, non regge due ore di dramma interiore con Jeremy Irons nel ruolo di spalla di lusso.
Alla fine «La corrispondenza», più che una storia d’amore, sembra una cartella clinica di una donna con disturbi mentali avviata verso una guarigione non esplicita ma comunque prevedibile. Prima di questo, corre l’obbligo di ricordare che nel 2007 Richard LaGravenese aveva realizzato «P.S. I Love You» che, sia pur in forma di commedia, raccontava di una donna guidata dalle lettere del marito defunto a dare nuova vitalità alla propria esistenza. Tornatore ignora la commedia e predilige il melodramma. Ciò lo porta però a dare per scontati passaggi logici che avrebbero richiesto una diversa attenzione. Dove «La corrispondenza» recupera terreno è nella cura dei particolari: la casa di Borgo Ventoso che sarebbe l’ideale per un fantasma, la scultura ottenuta dal calco del corpo di Amy e impreziosita da lacrime non trattenute, un cane che avvicina la ragazza per due volte e che ha incredibilmente lo stesso sguardo di Ed, l’associazione dei due personaggi all’astronomia e alle stelle ad indicare lo splendore di qualcosa che potrebbe essere morto da lungo tempo. Quando però è il momento di tirare le somme, il film non nasconde banalità narrative e faciloneria psicologica. E Tornatore, che è sicuramente un regista preparato, puntiglioso e perfezionista, continua ad essere un personaggio in cerca d’autore. Ha cioè delle buonissime idee che sparge in film che non trovano la compiutezza. Così, per il momento, rimane il regista di «Nuovo Cinema Paradiso» e «Una pura formalità».