«LA CENA PER FARLI CONOSCERE»
Pupi è solito dire che il passato si può manipolare, mentre con il presente non sarebbe corretto. Va bene: ma è comunque spiazzante il percorso di un autore che passa dalla dolcezza del ricordo al gelo del quotidiano senza potere (o volere) trovare (o immaginare) una continuità che, foss’anche a cinque minuti dalla fine, ci faccia pensare che vale la pena continuare a lottare. È evidente che in «La cena per farli conoscere» gli argomenti trattati sono proprio suoi: la famiglia, il mondo dello spettacolo, lo scorrere del tempo, la precarietà dei sentimenti, l’ipocrisia, il pendere dell’ago della bilancia sul versante femminile del mondo.
Ma sembra di poter dire che un film ricco di notazioni acute e anche approfondite, per una volta difetta un po’ in sede di sceneggiatura. Allo strapotere scenico di Diego Abatantuono, bravissimo nel tratteggiare le false sicurezze e la totale fragilità di Sandro Lanza, attore in disarmo, fanno riscontro tre caratteri femminili, le figlie interpretate da Ines Sastre, Vanessa Incontrada e Violante Placido, un po’ evanescenti, più strumentali alla vicenda che reali protagoniste. Per cui alla fine, per contrasto con personaggi così poco caratterizzati, assume più risalto l’Alma di Francesca Neri, anche solo per il fatto di essere una donna sopra le righe capace di monopolizzare l’attenzione sia pure in un’apparizione di relativa entità.
E sì che lo spunto di partenza del film, un’operazione di plastica facciale mal riuscita che lascia Lanza con un occhio sbarrato alla vigilia della partecipazione a un’importante fiction televisiva, era forte, suscettibile di sviluppi amari o grotteschi, tragici o comici a seconda del registro adottato. Avati, che aveva già parlato del binomio famiglia/spettacolo in «Festival», dà invece l’impressione di avere qualche conto da saldare e di essere disposto per questo a passare sopra ad altri possibili approfondimenti. Diciamo che, rispetto ad altre sue incursioni negli argomenti trattati, «La cena per farli conoscere» appare più opera di maniera che dettata da effettiva, assoluta ispirazione. Senza quella compattezza e quell’omogeneità che fanno di altri suoi film, anche pessimisti e in un certo senso crudeli come «Regalo di Natale» e «Dichiarazioni d’amore», punti fermi del cinema italiano contemporaneo.
Così Pupi Avati ha a sua volta reso omaggio a un cinema forse non dimenticato, ma sicuramente emarginato. Ovverosia, non si tratta dell’ennesima requisitoria contro lo sfascio della famiglia, che porterebbe a quella maniera che sicuramente non è l’obiettivo dell’autore. Tutt’altro. Da una parte le famiglie disastrate di Betty e Clara e la solitudine di Ines possono esemplificare l’adagio veterotestamentario che le colpe dei padri ricadono sui figli, dall’altra il fatto che Sandro apprezzi la riunione di famiglia (anche se verrà a sapere che si trattava di un espediente per liberarsi di lui) ben rappresenta il cagnolino che si accontenta delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni. Ne consegue che «La cena per farli conoscere», in un modo trasversale e non facile da capire, è un atto d’amore. Non volevo che il mio restasse un pensiero non espresso. (dal n. 8 del 25 febbraio 2007)