l film: “The French Dispatch”, come rievocare il giornalismo culturale di un tempo

In questo caso i periodici americani come il «New Yorker» o il «Saturday Evening Post» sono il modello cartaceo di riferimento, mentre quello cinematografico a cui il regista ha affermato di essersi ispirato è L’oro di Napoli di Vittorio De Sica (per quanto la vera fonte non dichiarata sia L’amore in città, un esempio di film-giornalismo ideato da Cesare Zavattini nel 1953).

Forse è necessario fornire queste premesse per poter apprezzare a pieno l’esperimento di Wes Anderson, regista abituato a creare contaminazioni tra linguaggi, spesso più compiaciuto che convinto. D’altra parte siamo nel pieno dello spirito postmoderno, citazionista e nostalgico, frutto di un’epoca in cui sembra che sia impossibile creare qualcosa di nuovo, ma solo riproporre, con nuova consapevolezza, forme e contenuti già visti e letti nel passato.

È una direzione piuttosto sterile verso la quale sono incanalati molti autori di cinema: pensiamo a Tarantino, Sorrentino o Almodovar tanto per citare i più noti. In questo caso, però, il risultato è davvero notevole, forse perché il regista non si prende sul serio e gioca con gli spettatori affascinandoli con ogni tipo di risorsa espressiva che il cinema gli offre: il colore e il b/n d’epoca; il formato classico 4/3 che all’occorrenza può raddoppiarsi e diventare scopegendarmerie nationale.

Il tutto tra una introduzione storica che ci racconta come è nato «The French Dispatch», supplemento culturale di un immaginario quotidiano americano con sede in una altrettanto immaginaria cittadina francese, Ennui, e un epilogo con un necrologio, com’è d’uopo, nelle ultime pagine. L’annuncio funebre è dedicato, sì, a un personaggio del racconto, ma è da considerarsi come riferito a tutta un’epoca, quella della grande editoria e del grande giornalismo.

Il film va gustato con questo spirito, un po’ ludico e un po’ filologico, godendo della straordinaria riuscita visiva così come si va ad assistere a una mostra d’arte, ma anche apprezzando il gusto letterario e narrativo che cambia da un episodio all’altro, dove i dialoghi sono spesso arricchiti di un lessico desueto (quindi buffo) e le storie raccontate hanno il piacere del paradosso e della bizzarria. Come dice il caporedattore della rivista ai suoi collaboratori, bisogna fare in modo che gli eventuali zoppicamenti della scrittura sembrino una scelta e non un incidente. Lui, artefice di tutta la baracca, ascolta e incoraggia senza giudicare. Preferisce allungare i pezzi che tagliarli, comprensivo e indulgente, capace di integrare e amalgamare i differenti contributi. Come fa un regista.

Gli attori – tantissimi grandi nomi – sono tutti al servizio del delizioso progetto, senza protagonismi, divertenti e divertiti loro per primi. Non a caso per giocare e recitare, in inglese come in francese, si usa la stessa parola.

 

The French Dispatch

Regia e scenggiatura: Wes Anderson; fotografia (b/n; colore): Robert Yeoman; costumi: Milena Canonero; interpreti: Bill Murray, Adrien Brody, Benicio del Toro, Tilda Swinton, Frances McDormand, Léa Seydoux; origine: Usa-Germania 2021; durata: 108 min.