«KINSEY»

DI FRANCESCO MININNIAlla fine degli anni Quaranta il dottor Alfred Kinsey, biologo, fece stampare con i finanziamenti della fondazione Rockefeller un libro sui comportamenti sessuali del maschio americano, seguito da uno su quelli delle donne. L’impatto con l’opinione pubblica, alle soglie del maccartismo, fu violento. Per la prima volta qualcuno negava che il sesso coniugale fosse la tendenza predominante. Si parlava liberamente di masturbazione, sesso orale, omosessualità e perversioni. Kinsey, che aveva mosso i primi passi scientifici studiando le vespe, si era accostato al sesso per due motivi: prima di tutto per una sincera curiosità scientifica, che rapidamente sconfinò nel sociale; in secondo luogo perché, figlio di un rigidissimo predicatore calvinista, aveva vissuto un’infanzia e un’adolescenza represse trovandosi praticamente costretto ad andarsene da casa all’età del college.

Da questo, come intelligentemente sottolinea l’autore di «Kinsey» Bill Condon, nacque una strada biforcata, dove la curiosità scientifica e la semplice curiosità non avrebbero mai potuto camminare a lungo di pari passo. Sposato e padre di tre figli, Kinsey maturò per il sesso una sorta di ossessione monomaniaca sperimentando personalmente esperienze diverse (non esclusa l’omosessualità) e in un certo senso incoraggiando i suoi collaboratori a fare altrettanto, prestando così il fianco all’indice accusatore di una società che stava vivendo un periodo di forte involuzione.

Non è la prima volta che Kinsey arriva al cinema. Nel 1962, basandosi sui suoi rapporti e cambiando il nome in Chapman, George Cukor realizzò «Sessualità», un film massacrato dai produttori, maltrattato dalla maggioranza della critica e rifiutato dal pubblico. «Kinsey», che può contare sulla vibrante interpretazione di Liam Neeson, non si schiera in modo preconcetto a favore o contro qualcuno. Riesce invece a far capire come certe sperimentazioni «scientifiche» non possano mai essere affrontate con totale distacco, ma anche come la vera ricerca non dovrebbe mai essere sottoposta alle regole di una società repressiva. Forse per questo in America è andato incontro ad analogo insuccesso.Ovviamente il film contiene ambiguità e lati oscuri, come si conviene a ogni teoria che anteponga a tutto una libertà ad ogni costo che può facilmente scivolare nell’anarchia e nel caos. Ma è comunque confortante il fatto che Condon, autore anche della sceneggiatura, sia riuscito a mantenersi sui binari dell’indagine storica senza lasciarsi tentare da rappresentazioni troppo facili che avrebbero sicuramente diminuito il vigore di un ragionamento complesso su tutti i rischi che comporta il passaggio dalla teoria alla pratica. Con uno stralcio di dialogo che, in particolare, dà l’idea precisa di quale sia stato l’approccio di Condon alla vicenda, quando Kinsey, interrogato da un collaboratore sul perché parli sempre di sesso e mai d’amore, risponde: «Solo perché è impossibile misurare l’amore. E, senza misurazioni, non può esserci scienza».

KINSEY (Id.) di Bill Condon.