INVASION
DI FRANCESCO MININNI
Per Don Siegel erano un agghiacciante presagio di un’umanità priva di sentimenti. Per Philip Kaufman una situazione in atto e completamente priva di vie d’uscita. Per Abel Ferrara un modo come un altro di prendersela con le istituzioni (soprattutto con quelle militari). Oggi, alla loro quarta uscita sugli schermi, gli ultracorpi arrivano sulla Terra con i resti dello Shuttle, si diffondono a velocità impressionante, trovano un terreno molto fertile in un’umanità provata da terrorismo, guerre e sfiducia nei governanti, ma si scontrano imprevedibilmente contro un forte residuo di volontà di sopravvivenza che, per la prima volta, permette di individuare una sorta di vaccino capace di rendere il processo reversibile.
Questo dovrebbe far capire come, a confronto con un pericolo reale e dalle potenzialità sconvolgenti, oggi come oggi ci sia un disperato bisogno di attaccarsi a qualche speranza (che poi diventa certezza) per non cadere nella disperazione più nera e alzare bandiera bianca. Dovrebbe. Perché in realtà da «Invasion» si capisce soltanto che la riproposta di un tema che negli anni Cinquanta era profetico, oggi diventa soltanto triste e poco credibile. Soprattutto considerando la difficile gestazione del film, che ha portato a una stratificazione di sceneggiature e regie che raramente dà vita a risultati positivi. Inizialmente il produttore Joel Silver aveva una sceneggiatura di Dave Kajganich affidata alla regia del tedesco Oliver Hirschbiegel («The Experiment», «La caduta»). A un certo punto, però, gli è venuta a mancare la fiducia in entrambi. Così ha chiamato i fratelli Wachowski (proprio quelli della trilogia di «Matrix») per riscrivere parte della sceneggiatura e James McTeigue («V per vendetta») per rigirare alcune scene. Il risultato dimostra che le cose non sono migliorate.
Diamo per scontato il fatto che il diffondersi degli ultracorpi, capaci di replicare gli esseri umani trasformandoli in simulacri privi di sentimenti, mantenga sempre la capacità di avvincere ed angosciare il pubblico. Ma dovremmo anche dare per scontato che l’impatto, alla quarta versione, potrebbe aver perso buona parte della sua forza. Soprattutto se, per attualizzare il testo, si è pensato di moltiplicare i riferimenti al presente: il presidente Bush (lo chiameranno l’onnipresidente), l’Iraq, il Darfur, la presidenza di Chavez in Venezuela e quant’altro.
Quando poi, al centro del racconto, si inserisce una cena ufficiale con l’ambasciatore cèco e quello russo che ripiombano il tutto nella tematica «guerra fredda» che gli esegeti più politicizzati vollero applicare al capostipite diretto da Don Siegel. Ci si trova così in un’atmosfera difficile da decrittare: ora l’attualità, ora l’effetto nostalgia. Resta il fatto che alla base di tutto sta un meccanismo troppo conosciuto per poter riservare ancora sorprese. E non serve a niente il fatto di aver cambiato il sesso del protagonista trasformandolo in una dottoressa (Nicole Kidman) che più di ogni altra cosa tiene all’incolumità del figlioletto Oliver, casualmente immune al contagio. Né che al suo fianco ci sia un indifferente Daniel Craig, evidentemente scelto per formare una coppia ricca di glamour.
Noi ci teniamo l’angoscia di mezzo secolo fa, quando gli ultracorpi erano una sinistra eventualità. Oggi che sono già tra noi, non c’era più bisogno di farli arrivare dallo spazio.
INVASION (The Invasion) di Oliver Hirschbiegel. Con Nicole Kidman, Daniel Craig, Jeremy Northam, Jeffrey Wright. USA 2007; Fantastico; Colore