Il viaggio
Talvolta grandi svolte storiche non maturano a seguito di eventi eclatanti, di atti di violenza, di evidenze alla luce dei riflettori diffuse immediatamente in tutto il mondo. Maturano, per così dire, nel privato, in un incontro faccia a faccia lontano dal clamore dei mass media. E non per questo, naturalmente, hanno un’importanza inferiore: è soltanto questione di visibilità. Sono eventi talmente discreti che non facilitano affatto il compito di chi volesse raccontarli in un film. Possiamo dire, pertanto, che l’irlandese Nick Hamm ne Il viaggio ha scelto la maniera giusta. E possiamo dire che tutto sommato si tratta di una piacevole sorpresa.
Conoscevamo Hamm per film thriller tutt’altro che memorabili, come «The Hole» e «Godsend» che potevano lasciar pensare a una carriera media senza acuti. Ma la sua attività, che comprende molte serie televisive, si è svolta anche a teatro, con molto Shakespeare e altrettanti testi contemporanei. Quindi si può pensare che, fino al momento di avere a disposizione la storia giusta, la sua attività cinematografica fosse poco più che alimentare. Trovandosi però a dover raccontare la storico incontro in Scozia tra il reverendo presbiteriano Ian Paisley, leader del Partito Unionista Democratico, e il cattolico Martin McGuinnes, alla guida degli indipendentisti del Sinn Féin, Hamm ha capito di dover puntare a un obiettivo più alto e si è regolato di conseguenza.
Il suo film è un po’ colloquiale, un po’ folkloristico, un po’ commedia di caratteri, pochissimo politico nel senso di analisi storica e di seriosità d’impianto. Ed è la maniera giusta perché una pace che dura tuttora dopo decenni di scontri armati, di terrorismo, di vittime innocenti e di guerra civile è stata effettivamente sancita dall’incontro privato tra due uomini che, pur odiandosi e temendo soprattutto di tradire la propria gente, si sono venuti incontro semplicemente sul piano psicologico. Questo era impossibile da raccontare come fosse una lezione di storia.
L’incontro tra Paisley e McGuinnes, caldeggiato da Tony Blair, dal premier irlandese e da tutte le autorità più alte, avvenne in Scozia (quindi un terreno neutrale) nel 2006. Tale incontro si sarebbe svolto intorno a un tavolo di lavoro, con collaboratori, bracci destri e anche qualche osservatore esterno. E non avrebbe funzionato. La circostanza delle nozze d’oro del reverendo Paisley, invece, esigeva la sua presenza a Belfast quella sera stessa. McGuinnes non ebbe niente in contrario, ponendo come unica condizione di fare il viaggio insieme a lui. E qualcuno capì che quello era forse l’unico modo per ottenere un risultato. Prima in macchina fino ad Edimburgo, poi in aereo fino a Belfast prima che le condizioni meteorologiche impedissero il volo, imprevedibilmente Paisley e McGuinnes finirono per stringersi la mano. Un gesto che, in quel caso, volle dire veramente qualcosa.
Dicevamo della narrazione colloquiale adottata da Hamm: così facendo l’autore ha evitato frasi celebri, parole agli atti, testi affidati agli archivi storici. Certo, ha rischiato talvolta qualche scambio da commedia e molto colore locale, ma senza lasciarsene prendere la mano e bilanciando attentamente le ragioni del pubblico e quelle della storia. Ma soprattutto ha avuto a disposizione due attori che, senza essere star, si sono calati perfettamente nei personaggi trasmettendo un’idea che, alla fine, diventa una credibile verità. Timothy Spall, già in evidenza con Mike Leigh («Segreti e bugie», «Tutto o niente» e «Turner») e come Peter Minus nella saga di Harry Potter, è un reverendo ingrugnito e apparentemente incapace di ridere che lentamente rivela la propria umanità. Colm Meaney, attivo con Stephen Frears («The Snapper» e «Due sulla strada») ma anche come capo O’Brien in due stagioni di «Star Trek», è un McGuinnes sanguigno e appassionato. E Il viaggio, senza togliere meriti a Nick Hamm, diventa il loro film.
IL VIAGGIO (The Journey) di Nick Hamm. Con Timothy Spall, Colm Meaney, Freddie Highmore, Toby Stephens, John Hurt, Ian McElhinney. GB 2016; Drammatico; Colore.