Il terrore nello sguardo… di un altro: «THE EYE»

DI FRANCESCO MININNIChe da sempre la paura sia legata allo sguardo è un fatto. Un occhio che scruta nel buio, l’occhio della memoria, le ossessioni dello sguardo legate a «L’occhio che uccide», la non vedente de «Gli occhi della notte» e migliaia di altri esempi parlano chiaro in proposito.

Ultimi arrivano i Pang Brothers (Oxide e Danny) da Hong Kong, in una stagione particolarmente felice per l’horror orientale, con un’idea non nuova ma diretta, senza mediazioni simboliche: le possibili conseguenze di un trapianto di cornee che restituisce la vista a una ragazza cieca dall’età di due anni.

Una volta effettuato il trapianto, Mann comincia progressivamente ad abituarsi alla luce e a tutte le cose nuove che prima conosceva soltanto al tatto. Ma, oltre agli oggetti e alle persone, Mann vede anche personaggi inquietanti che soltanto lei sembra vedere. Alla ricerca di un aiuto scientifico, la ragazza si scontra contro un muro di incredulità: quale medico potrebbe mai credere che lei veda persone morte con relativo accompagnatore nell’aldilà? Se però il medico si innamora di lei, le cose cambiano: entrambi capiscono che, per risolvere il mistero, è necessario risalire al donatore delle cornee…

Annunciato come un horror estremizzato e sconvolgente sulla falsariga di «The Ring», «The Eye» è in realtà un puzzle di film diversi: in primo luogo «Il sesto senso» (chiunque veda la gente morta deve fare i conti con quel film), poi «The Mothman Prophecies», da cui è ripreso l’annuncio di eventi tragici con catastrofe finale. Su questo asse i Pang Brothers inseriscono un senso di fatalismo incombente che trasforma una conclusione etico-filosofica sensata in un discreto esempio di umorismo involontario. Da «The Ring», infine, discende l’idea che, qualunque cosa si faccia per interrompere la maledizione, quel che deve accadere accadrà comunque. Così si arriva alla fine con un senso di impotenza che, associato a una glaciale freddezza, rende praticamente impossibile identificarsi con alcunché del film, azzerandone il potenziale inquietante e consentendo una visione rigorosamente dall’esterno. Un grave difetto per un horror che ambiva a far vibrare alcune corde riposte del nostro inconscio e che si risolve invece in una lunga serie di citazioni senza una forma cinematografica realmente originale.

D’altronde, la cinematografia di Hong Kong non ha una connotazione realmente originale come quelle giapponese o coreana: è più che altro un porto di mare dove ogni nave che attracca lascia qualcosa, che viene regolarmente incamerato dalla gente del luogo e poi riproposto senza apprezzabili personalizzazioni. «The Eye» è un occhio che non fa paura. Ne abbiamo viste di peggio.

THE EYE di P. Brothers.Con Lee Sin-Jie, Lawrence Chow.