IL SOLE NERO

DI FRANCESCO MININNI

Da un dramma di Rocco Familiari, «Agata», Krzysztof Zanussi ha tratto un film che, pur sovraccarico e talora fortemente ambiguo, avrebbe la possibilità di interessare, spiazzare e far discutere. Il condizionale è d’obbligo: potrebbe, se non fosse per una distribuzione fortemente limitata e neppure settoriale. Il motivo non sembra neanche difficile da individuare: «Il sole nero» è troppo particolare, forse troppo riflessivo, troppo alternativo per avere suscitato in chiunque degli addetti ai lavori una remota illusione di buon esito commerciale. Certo, bisogna ammettere che Zanussi non ha fatto niente per facilitarsi il percorso: simbologie, metafore, surrealismi, una sorta di rigore etico abbondano nel suo film, quasi a voler scoraggiare chiunque tentasse di soffermarsi sui suoi aspetti più superficiali o, per così dire, normali. «Il sole nero» è un film per molti versi affascinante, ma comunque riservato a un pubblico paziente che non pretenda tutto e subito.

Agata e Manfredi, sposi felici, sognano una gioia senza fine, si promettono eterna fedeltà e tutti i figli che verranno. Un dirimpettaio con gravi problemi di droga e di rabbia di vivere, però, mal sopporta la loro spudorata felicità e, imbracciato il fucile, fulmina Manfredi addormentato su una sdraio in terrazza. Quando viene a sapere dalla polizia che la pena per il colpevole potrebbe ridursi a sette o otto anni di carcere, però, Agata si rifugia in un mondo tutto suo dove Manfredi c’è ancora e dove è a lei che viene affidato il compito di fare giustizia. Il tutto si conclude con un omicidio-suicidio che lascia molto da pensare sull’allargamento dei confini etici e sulle colpe (come dice l’assassino in un attacco di cinismo) di un Dio che non c’è.

Potremmo partire da qui. In fin dei conti Zanussi si è sempre segnalato per la sua appartenenza al mondo cristiano, per la salvaguardia di certi valori, per un intellettualismo mai sterile o modaiolo. Bisogna dunque pensare che, approfittando del testo di Familiari, l’autore abbia rappresentato una situazione in atto che non corrisponde necessariamente al suo pensiero. Come dire che, conscio della deriva dell’umana coscienza, Zanussi ne ha messo in scena alcune conseguenze. Tutto questo, però, non segue un percorso lineare: «Il sole nero» mette in campo Dio e il diavolo, gli angeli caduti e gli angeli ribelli, una realtà molto simile a un altrove dove più niente ci è familiare, chiese deserte frequentate soltanto da pie donne vestite di nero contrapposte alla protagonista ossessionata dal bianco. Insomma, per quanto ricchissimo di spunti, affascinante e sicuramente originale, il film è talmente carico di simboli da rendere arduo seguirne il percorso. Si ha l’impressione di una storia sostanzialmente semplice resa complicata dalle immagini scelte per raccontarla: immagini belle, nitide, mai gratuite, ma non sempre necessarie.

Valeria Golino, alle prese con un personaggio realmente complesso, fa meglio di quanto sostengono i suoi detrattori, mentre è decisamente meno interessante la sezione maschile del cast. Zanussi, che già ne «Il potere del male» aveva dimostrato un certo fatalismo sulla condizione umana, prende atto di una situazione senza fare alcunché per cambiarla.

IL SOLE NERO di Krzysztof Zanussi. Con Valeria Golino, Lorenzo Calducci, Kaspar Capparoni, Toni Bertorelli. ITALIA/FRANCIA 2006; Drammatico; Colore