IL MATRIMONIO DI LORNA

DI FRANCESCO MININNI

Ci sono due categorie di spettatori (o addetti ai lavori, poco importa) che prima di parlare dovrebbero riflettere. La prima è quella che afferma che i fratelli Dardenne fanno sempre lo stesso film. La seconda è quella secondo la quale il loro ultimo film, «Il matrimonio di Lorna», virerebbe verso il thriller. Mettiamoci pure la distribuzione, che scegliendo il titolo ha pensato che l’originale, «Il silenzio di Lorna», sarebbe stato o poco comprensibile o di scarso impatto commerciale. A noi sembra che in tutti e tre i casi siamo di fronte a un bel campionario di sciocchezze. A noi sembra che i Dardenne siano tra i cineasti più seri e coerenti nel panorama internazionale. A noi sembra che, alternando capolavori e grandi film, si possano occasionalmente permettere anche un’opera semplicemente interessante. E soprattutto a noi sembra che meritino un rispetto umano che va oltre Palme d’Oro e Gran Premi (già, quelle sciocche giurie che non si sono accorte di aver premiato sempre lo stesso film…). «Il matrimonio di Lorna» non è il loro film migliore, ma offre tanti e tali spunti di riflessione da indurci a collocarlo comunque in una posizione privilegiata rispetto a tanta produzione corrente.

Lorna è una ragazza albanese che, emigrata in Belgio, ottiene la cittadinanza sposando Claudy, un tossicodipendente. A cose fatte, Claudy sarà tolto di mezzo con un’overdose e Lorna, praticamente alle dipendenze del tassista Fabio, potrà sposare un russo anch’egli in cerca di cittadinanza. Poi, forse, potrà coronare il suo sogno d’amore con un compatriota che lavora in Italia. A ostacolare tutto questo complesso intreccio di interessi, subentra improvvisamente l’umana pietà. Lorna non vorrebbe che Claudy morisse e cerca di opporsi come può ai piani di Fabio. Non sa ancora come va il mondo.

La peculiarità dei Dardenne, oltre a uno stile rigoroso e distante che si limita a fotografare ambienti e personaggi senza lasciarsi coinvolgere dal dramma e dal pathos, è quella del rifiuto del fatalismo. Le loro storie, tristi e spesso disperate, lasciano sempre intravedere una possibilità di redenzione. Che, a ben guardare, è comunque realismo: anche la vita dovrebbe sempre lasciare una porta aperta alla speranza. Nel caso di Lorna, il cui silenzio equivale al fatto di appartenere a una categoria che non ha diritto di parola, la speranza è proprio un filo sottile, una luce lontana. È una maternità che, vera o presunta, rappresenta comunque per la ragazza una fortissima ragione di vita. I pessimisti vedranno un principio di follia, gli altri un incommensurabile atto d’amore. Conoscendo i Dardenne, ci dichiariamo fortemente propensi alla seconda ipotesi. E apprezziamo moltissimo quella conclusione vagamente fiabesca con Lorna/Biancaneve in fuga nel bosco, con la scoperta di una casetta di legno che sarà il rifugio per la notte e con quel «Dormi bene» rivolto al nascituro che è un’affermazione di vita ad ogni costo e che, nel suo essere drammaticamente controtendenza, ribadisce la grande umanità di due autori che, consapevoli della cattiveria del mondo, non mollano.

Lorna è Arta Dobroshi, meravigliosa come possono esserlo tutti quegli esseri umani che, trovandosi ad attraversare un film, vengono impropriamente definiti attori. Claudy, invece, è Jérémie Renier, scoperto dai Dardenne nel 1996 quando era quattordicenne e da allora divenuto (insieme a Olivier Gourmet, pure presente nel film) il loro attore di riferimento. La differenza tra questo e gli altri film dei fratelli belgi sta nel fatto che questa volta lo spettatore non è mai veramente convinto che finirà in tragedia. Nonostante tutto, anche la speranza può dare assuefazione.

IL MATRIMONIO DI LORNA (Le silence de Lorna) di Luc e Jean-Pierre Dardenne. Con Arta Dobroshi, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet. BELGIO/FRANCIA/ITALIA 2008; Drammatico; Colore