«IL LABIRINTO DEL FAUNO»
La madre di Ofelia, rimasta vedova, si è risposata con un capitano dell’esercito franchista e sta per partorire il sospirato maschio. Trasferite in campagna, accanto al capitano, madre e figlia vivono tutta l’incertezza del momento con reazioni diverse. La madre, cagionevole di salute, soffre sapendo di non avere alternative. Ofelia, invece, comincia a vedere le fate, è condotta in un labirinto alla presenza di un fauno e viene a sapere di essere la reincarnazione della figlia del re del mondo sotterraneo. Se la realtà è brutta, però, la fantasia è ugualmente ambigua e piena di pericoli. Una volta superate le prove, Ofelia capirà che di fantasia si può anche morire.
Come aveva tentato (senza riuscirvi) ne «La spina del diavolo», Del Toro accosta storia, politica e fantasia (chiaramente indirizzata sul versante dell’horror) cercando un difficile equilibrio tra le parti. Ma, non essendo dotato di capacità evocative, può soltanto rappresentare. Di modo che, se il capitano franchista è un concentrato di luoghi comuni sulla violenza del potere, il fauno non appare mai quale dovrebbe essere, cioè una proiezione della fantasia di una bambina che ha un gran bisogno di fuggire dalla realtà.
Va a finire che «Il labirinto del fauno» diventa, più che una fiaba nera, una rappresentazione delle tristezze del mondo a diversi livelli con almeno due episodi (l’incontro di Ofelia con il mostro senza occhi e il ferimento del capitano da parte di Mercedes) assolutamente privi di logica. D’altronde, Del Toro riesce a trasmettere, più del prevedibile pessimismo, un diffuso senso di tristezza che è comunque in grado di fotografare bene il periodo storico prescelto.
Resta la delusione per quella che, in mani più sapienti, avrebbe potuto trasformarsi in una grande storia surreale e che invece, così com’è, assomiglia soltanto a un’occasione mancata.
IL LABIRINTO DEL FAUNO (El laberinto del fauno) di Guillermo Del Toro. Con Ivana Baquero, Doug Jones, Sergi Lopez. USA/MEX 2006; Fantastico; Colore