IL GRANDE SOGNO

DI FRANCESCO MININNI

Cosa sarà mai stato questo ormai mitizzato 1968? Secondo qualcuno una grande rivoluzione. Secondo altri un tentativo di marca americana di destabilizzare la cultura europea. Secondo Bernardo Bertolucci («The Dreamers») un’ondata ormonale che dura tutt’oggi. Secondo Lindsay Anderson («Se…») un’esplosione di rabbia nei confronti delle istituzioni togate. Secondo Michele Placido, che lo ha vissuto in prima persona da recluta della polizia, un marasma nel quale si potevano ascoltare frasi tanto celebri quanto fatte, osservare esplosioni di violenza senza colpevoli e innocenti o vincitori e vinti, scegliere una parte o l’altra a seconda dell’ispirazione o della necessità, perdere la verginità come atto più di protesta che d’amore. Il tutto, naturalmente, in prospettiva di un inquadramento che, una volta passata la tempesta, avrebbe ricondotto la maggioranza a un nuovo tipo di conformismo. Così nasce «Il grande sogno», cui avrebbe maggiormente giovato un titolo che gli amanti del cinema conoscono molto bene: «La grande illusione».

I tre personaggi portanti sono Nicola, poliziotto per forza e aspirante attore, Libero, ideologo aspirante rivoluzionario, e Laura, ragazza di buona famiglia che, prima di rientrare nei ranghi, si trasforma in una sorta di pasionaria che passa dall’Azione Cattolica al collettivo rivoluzionario e vive la complessa esperienza di ritrovarsi innamorata prima del poliziotto, poi del leader della protesta.

In realtà da «Il grande sogno» non esce un’immagine meditata e riflessiva del fenomeno ’68. Somigliantissimo a Michele Placido, al suo carattere sanguigno, alla sua istintualità, alla sua passionalità, il film risulta molto più «de panza» che derivante da un’attenta riflessione legata allo scorrere del tempo. Il che conduce a una certa ambiguità tematica. Se da una parte assistiamo all’occupazione dell’Università, agli scontri di piazza e alle cariche della polizia, dall’altra ci si rende conto che a dominare il campo è sempre e comunque un fatto privato. Più legato al rapporto tra Nicola e Laura che a quello tra Laura e Libero, il film finisce per ridursi alla cronaca di una tormentata storia d’amore sullo sfondo dell’eco lontana del maggio francese. Da ciò bisogna concludere che anche i difficili rapporti di Laura con i genitori, che avrebbero potuto inquadrarsi nel contesto del fermento rivoluzionario, portano più acqua al mulino del melodramma che a quello della Storia. A Placido, insomma, non mancano né piglio narrativo né conoscenza dei fatti: gli manca la sintesi storica capace di trasformare una storia di ragazzi nel vortice della passione in un documento d’epoca o, ancor di più, nella rilettura di un fenomeno controverso che attende ancora un osservatore imparziale capace di capire e di spiegare.

Qualche segnale positivo viene dagli attori. Riccardo Scamarcio, che interpreta Michele Placido, ha sicuramente il fisico del ruolo. Luca Argentero, alle prese con un Libero poco approfondito dalla sceneggiatura, mostra considerevoli progressi espressivi. Meglio di tutti Jasmine Trinca, che di film in film cresce di pari passo con il dato anagrafico. Tutti e tre, però, devono fare i conti con la forte componente passionale, con un surplus di lacrime in stile Matarazzo e con un testo che, venendo da un istintivo più che da un razionale, non concede ampi spazi al contributo di un attore capace di introspezione. Alla fine ci si ritrova un film comunque interessante, ma dagli orizzonti piuttosto limitati. Che soffre della medesima inadeguatezza di tutte quelle opere che, intendendo ricostruire un periodo storico, si smarriscono nella definizione del singolo perdendo di vista il quadro d’insieme.

IL GRANDE SOGNO di Michele Placido. Con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Luca Argentero, Laura Morante. ITALIA 2009; Drammatico; Colore