«IL GRANDE SILENZIO»

DI FRANCESCO MININNIUna volta ogni tanto (molto, molto raramente) il cinema ci fa intravedere potenzialità diverse, nuove frontiere, profondità inaspettate. In un certo senso ci aiuta a crescere con la semplice forza di un’immagine che starà a noi associare a un pensiero, a una riflessione, a una meditazione in modo da renderla completa. E intendiamoci: se anche fosse il materiale apparentemente più ostico, basterebbe poco ad accorgersi che non c’è niente di difficile. Così, tanto per tirarsi fuori per un attimo dalla frenesia della vita moderna e soffermarsi a riflettere sul perché della propria esistenza, magari aiutandosi confrontandoli con quelli dell’esistenza di qualcun altro.

È davvero bellissimo il progetto del tedesco Philip Groning, che ventuno anni fa chiese ai certosini della Grande Chartreuse di Grenoble il permesso di girare materiale documentario all’interno del convento, nel quale più nessuno era stato ammesso dal 1960. La risposta arrivò sedici anni dopo e a Groning fu permesso di entrare. Così, per quattro mesi, il cineasta ha vissuto nella certosa avendo accesso ad ogni attività dei frati e dovendo attenersi a poche, semplici regole: niente luci artificiali, nessun commento musicale, nessun commento parlato. E così, potremmo dire con pazienza certosina, Groning ha girato il suo materiale che, come prima cosa, ci restituisce il piacere dell’immagine che basta a se stessa. Talvolta sfuocata, talvolta buia, talvolta indistinta: tutto quanto fa cinema povero, essenziale e rigoroso, dove la riflessione vale più di ogni effetto speciale o di ogni perfezione tecnica.

«Il grande silenzio» non racconta: mostra la vita di uno degli ordini monastici più rigidi del cattolicesimo, dove la totale adesione a un semplice progetto di preghiera porta ad uscire dal mondo in quanto «oggetto» mondano e a rientrarvi in forma di sostegno spirituale, si direbbe in perfetta letizia. Groning si limita a registrare le azioni quotidiane dei certosini, che si ripetono secondo un rituale immutabile, limitando all’essenziale l’intervento della parola. Perché i monaci, che non sono vincolati al voto del silenzio, hanno capito quale debba essere lo spazio necessario alla meditazione e alla preghiera e quale invece quello da concedere al dialogo. Tutto questo, che secondo qualcuno equivale a una fuga dalla realtà, corrisponde invece a un coraggio che, illuminato dalla fede, va oltre l’eroismo. E per noi, per la nostra pochezza e per i nostri ideali caduchi, diventa in qualche modo rassicurante sapere di poter contare su persone così.

Groning non è soltanto un documentarista scrupoloso. Con la sua macchina da presa, ad esempio, riesce anche a catturare immagini di grande bellezza che evocano la grande pittura fiamminga. E riesce persino a farci pensare che forse è proprio vero che lassù, sui monti, Dio è più vicino.

IL GRANDE SILENZIO (Die grosse Stille) di Philip Groning. GERMANIA 2005; Documentario; Colore