Il film: “Tre piani”, il difficile mestiere del genitore

Il percorso artistico di Nanni Moretti è cambiato abbastanza da individuarne quasi due tronconi distinti, due momenti precisamente definiti, che vanno dai primi anni rivoluzionari spinti da un moralismo quasi integralista, a una seconda fase più matura, cominciata grossomodo da Aprile: da quando, cioè, Moretti è diventato padre, ed ha assunto una nuova visione sul mondo, sugli altri, e forse su se stesso. Assieme a questa nuova consapevolezza, però, sono arrivate tutta una serie di paure che, da regista e sceneggiatore, ha raccontato/esorcizzato al cinema.

Proseguendo il filone delle fobie da genitore (perdita, disafffezione, mancanza) cominciato con La stanza del figlio e proseguito con Mia madre, Moretti si cimenta col romanzo Tre piani di Eshkol Nevo, e riflette su quella che probabilmente è la paura più grande, quella del fallimento totale della genitorialità. I tre piani del titolo, nel romanzo, sono quelli di una palazzina di Tel Aviv, immagine metaforica dei tre livelli della psiche freudiana (es, ego, super-ego), scenario delle tragedie di tre famiglie che diventano lente d’ingrandimento dei problemi della società israeliana. Spostando l’ambientazione a Roma, Moretti racconta con intenti diversi storie analoghe: c’è il padre ossessionato dall’idea, senza fondamento, che la figlioletta sia stata molestata sessualmente dall’anziano vicino; ci sono i due anziani giudici alle prese con un figlio colpevole di omicidio stradale in stato di ubriachezza; c’è la neomamma che, lasciata spesso sola dal marito che lavora all’estero, teme di scivolare negli abissi della follia che ne hanno inghiottito la madre.

Le tre storie si incrociano, si scontrano, si confrontano, creano una massa unica e inestricabile di angoscia e tensione in cui il pubblico rimane avviluppato, inerme nell’osservare come, un errore dopo l’altro, i protagonisti si seppelliscono in situazioni irrimediabili, senza via d’uscita, perdendo affetti e relazioni, rovinando rapporti, distruggendo se stessi e le proprie famiglie. Il quadro dipinto dal film è desolante, ed anche le ultimissime sequenze, pensate per assicurare almeno un barlume di speranza, non riescono poi tanto nel proprio intento, considerata la devastazione che si lasciano alle spalle.

Con uno stile asciutto, distaccato, a tratti quasi da fiction televisiva, Moretti mantiene la promessa fatta in Caro diario: entra nelle case altrui e lo fa violentemente, come l’automobile che, nell’antefatto, sfonda una parete rivelando l’intimità della vita familiare della casa e spezzandone l’illusione di sicurezza, un’apertura che è una vera e propria dichiarazione d’intenti. Le belle note di Franco Piersanti non ammorbidiscono affatto la storia, e risaltano quasi in contrapposizione al modo freddo e spietato che ha il film di ingigantire problemi, errori, manie, cattiverie, in un crescendo costante che, nonostante interpretazioni non sempre all’altezza e uno sguardo fin troppo algido, coinvolge, appassiona, emoziona, atterrisce, in una rappresentazione di completo fallimento in cui non si fanno sconti.

Cinema terapeutico, forse, ma cinema autentico, che mette a nudo, in primo luogo, l’anima dell’autore.

 

TRE PIANI di Nanni Moretti. Con Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Denise Tantucci. Italia, Francia, 2021. Drammatico.