Il film: “Sick of Myself”, Signe e il folle prezzo della notorietà
Nella società occidentale dominata dalla ricerca spasmodica della visibilità, una ragazza raggiunge il successo mediatico attraverso il martirio del proprio corpo.
La vera pandemia, più subdola e potente che si sia mai radicata nella nostra società, ha un solo nome: avere un seguito sui social. Gran parte della popolazione, compresi tantissimi adulti, ne è colpita, come dimostrano i milioni di occhi costantemente incollati agli schermi degli smartphone, preoccupati di controllare quante persone ci stanno seguendo sul nostro profilo. Affascinante ed inquietante specchio deforme di questo mondo è Sick of Myself di Kristoffer Borgli che narra la vicenda della giovane norvegese Signe. Fidanzata con il design artist Thomas, la ragazza è disperata perché la sua pagina virtuale non decolla, offuscata com’è dalla fama del compagno. Signe, quindi, decide di recuperare terreno e l’occasione propizia le viene offerta dalla scoperta di un farmaco proibito che causa, in chi lo ingerisce, tremende lesioni su tutta la superficie del corpo.
Per Signe si tratta di una ghiotta opportunità per raggiungere la notorietà e scalzare dal trono l’ingombrante Thomas. E così, con lo scorrere della pellicola, il corpo di Signe si trasforma a dismisura, tanto che l’occhio dello spettatore ne rimarrà tremendamente offeso. Sick of Myself è una commedia drammatica dove grottesco e satira, (non) accettazione di sé e (non) accettazione degli altri, si incrociano per restituirci una profonda riflessione sulla nostra società dominata dal pensiero “ho successo sui social, dunque esisto”. Un mondo che, per farci sentire vivi, è disposto a ribaltare i canoni estetici tradizionali, a superare la querelle tra “meglio la bellezza acqua e sapone o la chirurgia estetica”? O peggio ancora, a renderci artefici di offese volontarie al nostro corpo, certi che questa pratica ci spalancherà le porte della celebrità.
Anche se recita per la maggior parte del film con il volto completamente coperto dalle bende, Kristine Kujath Thorp è bravissima nell’indossare i panni della ragazza social alla perenne ricerca del quarto d’ora di fama virtuale. In lei sono racchiuse le grandi contraddizioni della nostra epoca tanto che un fidanzato famoso non potrà mai rappresentare l’uomo da amare ma sarà soltanto il principale ostacolo alla via del successo. Così, nel rispetto della mai superata teoria “bene o male l’importante è che se parli”, Signe decide deliberatamente di deturpare il proprio viso per rispondere ai nuovi canoni del like ad ogni costo. E mentre il volto sfigurato di Signe sembrerebbe fugare ogni dubbio, in realtà facciamo difficoltà a distinguere chi siano i veri mostri: se la ragazza, devastata dagli effetti collaterali del farmaco che ingerisce in grandi quantità, o chi le sta intorno preoccupato unicamente di preservare il proprio ego. Davanti ai nostri occhi, infatti, scorre una schiera di narciso-egoisti, a partire dal fidanzato che non le concederà la poltrona della galleria d’arte per farla sedere durante l’intervista televisiva, oppure la stilista alla ricerca di donne segnate fisicamente dalla malattia per commercializzare la propria linea di abbigliamento inclusiva e gender neutral.
Con l’incedere della storia, Sick of Myself si colora di venature horror, ma non disdegna di lasciare alla colonna sonora la possibilità di prendersi uno spazio importante. Saranno le melodie di Beethoven, Mozart e di altri autori classici, oltre ai brani per pianoforte solista affidati alle magistrali esecuzioni di artisti del calibro di Ivo Pogorelich e Vladimir Ashkenazy, ad elevarsi al ruolo di leggiadro controcanto della grottesca vicenda della protagonista.
SICK OF MYSELF [Syk pike] di Kristoffer Borgli. Con Kristine Kujath Thorp, Eirik Sæther, Fanny Vaager, Henrik Mestad, Andrea Bræin Hovig
Produzione: Oslo Pictures, Garagefilm International, Film I Väst; Distribuzione: Wanted Cinema; Norvegia, Svezia, 2022
Commedia satirica; Colore
Durata: 1h 37min