Il film: «Siccità», un apologo sui nostri tempi difficili

Ispirato dalla recente pandemia e dai cambiamenti climatici che spingono gli esperti a vaticinare in televisione profezie infauste, il regista livornese ci regala un racconto corale di varia umanità ambientato in una Roma colpita dalla siccità tanto da ridurre il Tevere al suo alveo spettrale da cui affiorano resti archeologici dei fasti imperiali, ma anche carcasse di automobili e consimili reperti della nostra civiltà dei consumi. L’acqua dei rubinetti è razionata, qualunque spreco viene represso in modo autoritario dalla polizia, ma le fontane romane continuano a sprizzare allegramente e alcuni privilegiati si possono permettere piscine e vasche idromassaggio alla faccia dei poveracci.

Il racconto caleidoscopico (sul modello di America oggi o Crash), forse più adatto a una serie televisiva che alla durata di un film, è sufficientemente rapido per coprire le falle narrative che non spiegano perché soltanto Roma, in tutta la penisola, si sia ridotta a quello scenario apocalittico: ciò che vediamo è una evidente metafora del nostro tempo, di una società edonistica e cinica che ha perso ogni qualsivoglia forma di spiritualità e trascendenza. Unica eccezione sembra essere la musica, nella fattispecie Vivaldi (ma anche una vecchia canzone di Mina), capace di smuovere gli animi di pochi personaggi che in un simile contesto di aridità esistenziale riescono ancora ad amare. Amano sinceramente qualcuno e amano la bellezza, sempiterna arma contro l’orrore. Tutti gli altri si barcamenano tra egoismi, egocentrismi, meschinità e qualche vago sentimento di riscatto.

Di sicuro un desiderio di riscatto è quello che muove Antonio, interpretato da Silvio Orlando, bonario carcerato che per un caso fortuito si ritrova libero e spaesato dopo più di vent’anni trascorsi dietro le sbarre. Prima di rientrare volontariamente a Rebibbia, Antonio compirà un percorso redentivo di ammissione di colpa, ma anche di attestazione di sincero affetto per chi è stato vittima del suo sbaglio. E proprio lui, in quella Geenna che è diventato il fiume che attraversa la capitale, si imbatterà nell’apparizione di una sorta di Sacra Famiglia, con tanto di asinello, formata da due extracomunitari: lei è incinta e lui traina l’animale (Virzì non è nuovo a tali epifanie: si veda in merito un analogo passaggio di Baci e abbracci). E sempre Antonio finirà per inginocchiarsi e recitare un’Ave Maria smozzicata di fronte al Santo Padre (un po’ Francesco, un po’ Pio xii), sola autorità in grado di fornire un invito a ritrovare la via della salvezza attraverso la fede, in attesa di un lavacro sia fisico sia interiore. Come la tanto agognata pioggia, che alla fine cade sopra i giusti e sopra gli ingiusti.

 

Siccità