Il film: «Petite maman», quando una figlia genera sua madre

È nelle sale in questi giorni il film Petite maman della raffinata regista francese Céline Sciamma, passato per i Festival di Berlino e di Roma. Si tratta di un racconto delicato, narrativamente fatto di niente, ma che tocca le corde profonde del sentimento universale che unisce madri e figlie, presente e passato, realtà e trasfigurazione fantastica.

Nelly ha otto anni e ha perso da poco la nonna senza poterla abbracciare un’ultima volta. Forse per questo nella prima scena la vediamo fare il giro delle altre signore dell’ospizio salutandole con affetto, proprio perché Nelly ha ormai compreso che i legami, nella vita, possono spezzarsi per sempre. Con una simile acquisizione alle spalle, Nelly si accosta di più alla sua giovane mamma, la trentenne Marion, impegnata a svuotare l’abitazione della nonna dei tanti ricordi che la coinvolgono personalmente avendo lei vissuto in quelle stanze quando aveva l’età di Nelly. Insieme ritrovano i quaderni di Marion, i suoi disegni, i giochi che la nonna di Nelly aveva conservato.

Per la piccola si tratta di accedere a un mondo sconosciuto che la affascina: vuol sapere se la mamma costruiva, e in che modo, una capanna nel bosco dietro casa, con chi giocava, quali erano le sue paure notturne. Ma dopo la prima notte nella casa della nonna, Nelly viene a sapere dal babbo che la mamma se ne è dovuta andare per degli impegni improvvisi e così resteranno loro due a finire il lavoro di sgombero. Nelly avverte il rischio di una nuova perdita, magari di una separazione in corso, così si immerge nel clima che quel luogo evoca, immaginando di incontrare nel bosco proprio la Marion bambina, intenta a metter su un rifugio fatto di frasche.

Il racconto, da qui, si fa sospeso tra la realtà dei fatti e la fantasticazione, per cui il gioco dei ruoli parentali a volte sembra tutto mentale, mentre in altri momenti vediamo il padre di Nelly accogliere in casa Marion, sua futura moglie, come nuova amichetta della figlia, o la madre di Marion fare altrettanto con colei che anni dopo sarà sua nipote. La casa si sdoppia e la vediamo nelle condizioni attuali, smobilitata, e subito dopo com’era quando era abitata e vissuta. In questo vuoto temporale si rinsaldano i legami tra Nelly e sua madre, che infatti alla fine ritorna ristabilendo il principio di realtà dopo una vacanza in cui è stato il principio di piacere a prendere il sopravvento.

La vicenda narrata potrebbe essere letta anche in modo palindromo: non solo Nelly scopre com’era sua madre da bambina, ma anche Marion bambina scopre come sarà sua figlia quando ne avrà una. Grazie a questo loro segreto, ritrovano un’intesa che rischiava di perdersi, raccontata con sguardo poetico (ma forse eccessivamente rarefatto) da una regista che anche nei suoi film precedenti ha saputo esplorare le contraddizioni dell’animo femminile.

Per cogliere il sentimento sotteso di Petite maman tornano alla mente due titoli: il romanzo di Alain-Fournier Il grande Meaulnes (1913), capolavoro di realismo magico sull’infanzia, e il film Sinfonia d’autunno (1979) in cui Ingmar Bergman ci ricorda un fatto tanto ovvio quanto spesso dimenticato: ogni madre porta dentro di sé il suo essere stata figlia e crescendo una figlia può generare sua madre. In questo caso la mamma-figlia Marion è speculare alla figlia-mamma Nelly (le bambine sono interpretate da due gemelle, molto espressive), e si rivelano ideali compagne di giochi con cui indagare sui misteri della vita umana. Lo si vede bene nell’unica sequenza accompagnata dalla musica, quando insieme, a bordo di un canotto, esplorano l’interno di una curiosa piramide in mezzo a un laghetto: giocano per conoscere e per conoscersi.

 

Petite maman

Regia e sceneggiatura: Céline Sciamma; fotografia (colore): Claire Mathon; interpreti: Joséphine Sanz, Gabrielle Sanz, Nina Meurisse, Stéphane Varupenne, Margot Abascal; origine: Francia 2021; durata: 72 min.