Il film: “Palazzina LAF”, molestare psicologicamente sul lavoro
Quando un gruppo di dipendenti dell’Ilva inizia a contestare l’operato dell’azienda, i superiori decidono di confinarli nella famigerata palazzina LAF.
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. È l’articolo 4, comma 1 della nostra Costituzione che troppo spesso viene disatteso. Palazzina LAF, che segna l’esordio dietro la macchina da presa di Michele Riondino (alle spalle tanto cinema di qualità ma anche la notorietà televisiva indossando soprattutto i panni del giovane Montalbano), affronta con decisione e chiarezza il tema del bossing (la molestia psicologica che conduce ad auto-licenziarsi) che nel caso specifico venne perpetrato nel 1997 nei confronti di un’ottantina di dipendenti dell’ILVA di Taranto. Caterino Lamanna (lo stesso Riondino), uno di loro, convive con la fidanzata Anna in una fatiscente masseria alle porte della città. Non se la passano bene: le pecore che allevano muoiono a causa dell’inquinamento, la ragazza è insoddisfatta poiché vorrebbe sposarsi e andare a vivere in una casa più decente.
Nella vicenda irrompe il viscido Giancarlo Basile (altra perla del repertorio di Elio Germano), un dirigente che corrompe Lamanna con una promozione e la messa a disposizione di un’auto aziendale. In cambio lo sprovveduto operaio dovrà fare da spia, pedinare i colleghi, origliare i loro colloqui. Soprattutto dovrà trasferirsi nella famigerata Palazzina LAF (acronimo di laminatoio a freddo), un confino dove vengono emarginati e reclusi i lavoratori scomodi che hanno contestato la direzione dell’azienda. Un non-luogo dove si è puniti con la peggiore delle pene: si è costretti a far niente. Il coraggio di alcuni di loro porterà alla luce lo scempio di cui sono vittime e alla condanna dei vertici dell’azienda (dieci anni per tutti i dirigenti anche se la Cassazione ridurrà drasticamente le pene detentive). Palazzina LAF racconta una storia vera e per questo ancor più agghiacciante. Le immagini finali in 4:3, che mostrano il reale edificio di reclusione lavorativa, danno il senso di come questo film oltre che bello sia anche necessario. L’acciaieria più grande d’Europa (nata a Taranto nel 1961), un fiore all’occhiello della forza industriale del nostro Paese, viene mostrata come un colosso dai piedi d’argilla che non ha saputo reggere il confronto con il passare degli anni. Un luogo diventato presto mefitico, dove i rapporti tra gli esseri umani sono diventati più inquinati dell’aria che respirano.
Michele Riondino sorprende per la grande linearità narrativa, per essersi ritagliato un personaggio sgradevole e per non essersi lasciato vincere dalla retorica o dalla facile commozione. Il tutto a vantaggio di una messa in scena asciutta e coinvolgente con scelte di regia sorprendenti. A partire dalla sequenza iniziale aperta sul primo piano di un mosaico raffigurante il volto di Cristo che campeggia in una chiesa dove si sta celebrando il funerale dell’ennesima morte in fabbrica. E la simbologia cristiana ricorrerà anche nel sogno di Lamanna dove, durante la processione del paese, lo stesso operaio spia è Giuda che sta per baciare Gesù Cristo. Riondino, originario proprio di Taranto, ci restituisce appieno la miseria della vita dei tanti poveri cristi che popolano le acciaierie. E non soltanto quelli emarginati alla LAF ma di tutti gli altri, abitanti di una moderna Metropolis dove le giornate sono segnate dall’alienante routine. Attesa dell’autobus, superare i tornelli d’ingresso, salire al reparto, iniziare il proprio turno, per poi compiere, esattamente all’inverso, la stessa operazione a fine giornata.
PALAZZINA LAF di Michele Riondino. Con Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Anna Ferruzzo, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Paolo Pierobon
Produzione: Bravo, Palomar, Paprika Films, Rai Cinema; Distribuzione: BiM Distribuzione; Italia, Francia, 2023
Drammatico; Colore
Durata: 1h 39min