Il film: “No Other Land”, la morte di un villaggio, minuto per minuto
Dopo la vittoria al Festival di Berlino come Miglior documentario e la candidatura ufficiale agli Oscar 2025, arriva in sala un preziosissimo documento di denuncia firmato da un collettivo di giovani palestinesi e israeliani
Ho conosciuto Basel Adra al Villaggio “La Vela”, in occasione del Campo Internazionale organizzato dall’Opera per la gioventù “Giorgio La Pira”. Taciturno, gran fumatore, un sorriso che spiazza sempre, occhi attenti a cogliere ogni dettaglio. La notte, fumando insieme il narghile, ci raccontava di casa sua, del villaggio di Masafer Yatta, in Cisgiordania, poco fuori Hebron, la città di Abramo.
È bello ritrovare Basel sul grande schermo, a raccontare al mondo la stessa storia. Diventato nel frattempo giornalista, Basel ha conosciuto Yuval Abraham, collega israeliano critico verso il regime di apartheid e per questo considerato antisemita dalla sua stessa gente: i due hanno fatto amicizia, lavorando insieme per far conoscere al mondo quello che accade ogni giorno da settant’anni in Terra Santa. Finalmente, insieme a un altro palestinese, Hamdan Balla, e a un’altra israeliana, Rachel Szor, tutto il materiale raccolto dal 2019 al 2023 è stato messo insieme in un lungometraggio, «No Other Land», che dopo aver vinto il premio come Miglior documentario a Berlino è stato selezionato ufficialmente per la corsa agli Oscar. Da un campo di calcio a La Vela al red carpet di Los Angeles, la storia raccontata è sempre la stessa, quella di un villaggio che si vorrebbe sparisse e che continua a resistere.
Masafer Yatta è quasi una Matera palestinese, noto fin dal XIX secolo per le case-grotta dei pastori. Da anni la Corte suprema israeliana rifiuta di riconoscere l’esistenza del villaggio o dei suoi abitanti, e quando l’intera area su cui sorge l’abitato viene designata come area militare, l’IDF, le forze di difesa israeliane, procedono a demolire case, scuole, infrastrutture, tentando di cacciare la popolazione, sparando su civili disarmati, procedendo con arresti di massa a ogni manifestazione pacifica.
Dai video semi-amatoriali e dalle testimonianze raccolte dai quattro registi esordienti traspaiono la stanchezza, il dolore, la rassegnazione di un popolo costretto a subire ogni tipo di abusi e violenze, il tutto nell’assordante silenzio di una comunità internazionale complice di un regime di apartheid. Emergono, però, anche l’incrollabile fierezza e la determinazione di chi non ha intenzione di cedere ai soprusi: “La terra per cui devi uccidere non è tua, quella per cui devi morire lo è” si legge sullo striscione di uno dei manifestanti, poco prima dell’arrivo delle granate stordenti dell’esercito.
Dal bieco gioco a rimpiattino del 2019, che vede i palestinesi ricostruire di notte quello che gli israeliani demoliscono di giorno, si arriva al 2023, poco prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, con i coloni illegali, già condannati dall’ONU nell’indifferenza generale, che si fanno sempre più brutali e fuori controllo, autori di vere e proprie spedizioni punitive ai danni della popolazione palestinese, armati fino ai denti e protetti dall’esercito mentre distruggono proprietà e sparano a civili inermi.
Con una prospettiva forzata dalle soggettive della camera a mano, il pubblico è partecipe di queste violenze, ma anche dell’eroica resistenza di chi racconta, quelli per cui il semplice abitare è un atto rivoluzionario e una telecamera è l’unica arma impugnata contro un aggressore invincibile, l’unica che spaventi l’esercito occupante quanto e più di un fucile.
In “nessuna altra terra”, ci dice il titolo, potrebbero accadere cose come queste con la complicità di stati che a parole si dicono difensori dei diritti umani. Ma “in nessuna altra terra”, di nuovo, gli abitanti di Masafer Yatta e dintorni hanno intenzione di vivere.
NO OTHER LAND di Basel Adra, Yuval Abraham, Rachel Szor, Hamdan Balla. Palestina, Norvegia, 2024. Documentario.