Il film: “Leonora addio”, un testamento cinematografico malinconico e ricco d’ironia

Bisogna che il tempo passi e porti via tutti gli scenari della nostra vita, il mio me lo sono già arrotolato sotto il braccio“. È la frase che, pronunciata da Luigi Pirandello (affidata alla voce fuoricampo di Roberto Herlitzka), chiude Leonora addio di Paolo Taviani. Il testamento di un regista che, superata la soglia dei novant’anni, condensa i ricordi di una vita vissuta nel segno dell’arte ma ora segnata inesorabilmente dall’assenza di tanti personaggi e dall’imminenza della morte. Un film ricco di poesia, forse talvolta sovraccarico di stratificazioni narrative (fin dal titolo che rimanda sia a una novella dello stesso Pirandello che a un’aria di Verdi), ma pur sempre attraversato da uno sconfinato amore per il cinema.

Leonora addio è suddivisa in due parti: la prima, narra l’avventurosa traslazione delle ceneri di Luigi Pirandello (custodite da un bravissimo Fabrizio Ferracane) da Roma alla sua terra d’origine (scomparso nel 1936, troverà requie soltanto quindici anni dopo); la seconda, si ispira a Il chiodo, la novella che il drammaturgo scrisse venti giorni prima di morire. Una trama asciutta e essenziale che, al contrario, racchiude al suo interno una narrazione intensa e vitale, affidata a una notevole varietà di registri stilistici e di riferimenti cinematografici. A partire dalla scelta di filmare la prima parte in un rigoroso bianco e nero ricco di riferimenti simbolici, come nella sequenza onirica dove, inquadrato dall’alto, il premio Nobel 1934 riceve al proprio capezzale i tre figli, ma anche dalla capacità di amalgamare (pur mantenendole nitidamente distinte) le proprie riprese con filmati d’epoca, autocitazioni dei propri film e frammenti di pellicole che hanno segnato la storia cinema (a partire da Paisà e Il bandito).

Anche la commistione dei generi presenti è variegata e il drammatico sfocia talvolta persino nel tragicomico, come quando assistiamo alla ridicola e scaramantica reazione dei passeggeri di fronte alla presenza di un morto sull’aereo fino alle buffe espressioni del volto di un meraviglioso Claudio Bigagli, monsignore che non sa come affrontare la cerimonia funebre di un’urna. E se il passaggio dal primo al secondo episodio, che si riappropria dei colori, è affidato alla scena più evocativa del film (musiche di Nicola Piovani), dove le ceneri del drammaturgo si disperdono nel vento che accarezza un mare profondo e luminoso, la messa in scena de Il chiodo è un dichiarato omaggio alle pellicole dei cineasti che hanno narrato la partenza dei nostri emigranti dalla Sicilia verso il nuovomondo, le loro alterne fortune oltreoceano, la Brooklyn degli italo-americani, le lotte feroci all’ombra della Statua della Libertà. Leonora addio è un film sulla memoria ma soprattutto sul mistero della morte.

Quella causata dalla tragedia della guerra (che niente riesce a insegnarci), quella dello scrittore siciliano che i Taviani hanno amato (portato sul grande schermo con Kaos) e che era quanto loro desideroso di indagare i misteri della Settima Arte (narrata in Quaderni di Serafino Gubbio operatore), quella dello stesso fratello Vittorio, il compagno di una vita d’artista, la cui presenza aleggia fin dai titoli di testa dove viene evocato con una dedica vergata a mano. Una morte che può essere, oltre che misteriosa, anche beffarda come quella che assale la ragazzina dai capelli rossi de Il chiodo. Un’adolescente sfrontata che ci mostra una linguaccia irriverente, ma che verrà trafitta da un pezzo di ferro feroce e implacabile.

 

LEONORA ADDIO di Paolo Taviani. Con Biagio Barone, Claudio Bigagli, Dania Marino, Dora Becker, Enrico Maria Modugno, Fabrizio Ferracane, Roberto Herlitzka (voce narrante)

Produzione: Cinemaundici, Istituto Luce Cinecittà, RAI Cinema, Stemal Entertainment; Distribuzione: 01 Distribution; Italia, 2022

Drammatico; Colore, B/N

Durata 1h 30min