Il film: “La testimone – Shahed”, donne e topi, un dramma con riscatto

Il racconto di tre generazioni di donne iraniane che lottano per il riscatto in una società maschilista

Teheran, questi anni. Tarlan è un’anziana insegnante in pensione, ma ancora attiva nella scuola e nel sindacato. Ha un figlio in carcere per motivi finanziari e una figlia, Zara, diciamo adottata, che gestiste una scuola di danza tradizionale. Zara a sua volta ha una figlia adolescente, Ghazal. La loro storia, con quanto ha di emblematico, si concentra in tre inquadrature-chiave.

La prima è quella iniziale: una panoramica circolare che compie i primi 180° partendo dal volto di Tarlan fino a delle danzatrici vestite di colori sgargianti; ad accompagnare il movimento è Zara che dà consigli e indicazioni alle allieve. Poi si inserisce Ghazal che fa proseguire la ripresa fino a tornare alla nonna. Ci vengono subito presentate tre generazioni con i loro modi di vivere la realtà femminile in un paese, l’Iran, dove un velo indossato male può provocare l’incarcerazione, le percosse, la morte. Le tre donne fra loro vanno d’accordo, sorridono, si abbracciano, si muovono armoniosamente: almeno è quanto finora viene loro concesso al chiuso dei muri della palestra o delle abitazioni. Ma poi si intromette il marito di Zara, uomo in carriera, che ritiene disdicevole vedere sua moglie impegnata in un’attività su cui i più tradizionalisti avrebbero da eccepire. Così la picchia. E probabilmente la uccide.

Arriviamo alla seconda inquadratura esemplare: Tarlan è in auto con suo figlio, uscito su cauzione grazie ai soldi del marito di Zara; lui è teso e accusa la madre per l’impegno indefesso per la causa democratica che spesso è andata a scapito dell’equilibrio familiare. Qualcuno in motore sorpassa e lo offende: parte un’escalation di contumelie che si trasformano in rissa, ovviamente maschile. Tutto questo lo ascoltiamo mentre la macchina da presa sta ferma sul volto di Tarlan, emblema di un altro modo di intendere la vita.

Famiglia, società, istituzioni politiche ed economiche sembrano tutte alleate per reprimere le minime istanze di libera espressione, libera scelta, libero pensiero femminili. Tarlan, Zara, Ghazal rappresentano rispettivamente un passato dagli ideali falliti, un presente sconfitto, un futuro ancora incerto. Il poster che vediamo in casa di Tarlan è emblematico: si tratta del celebre dipinto di Goya La fucilazione del 3 maggio 1808, inno alla ribellione contro la tirannide, ma anche tragica repressione degli ideali di indipendenza (in quel caso spagnola da parte dei francesi napoleonici). Una casa, quella di Tarlan, infestata dai topi, fastidiosi come i maschi che infestano la società persiana. Per eliminare i topi (così come il maschilismo) non serve il veleno, ma la determinazione, la gentilezza, l’armonia.

Ce lo dice l’ultima inquadratura, terzo momento di forte espressività in un film necessario, ma che pure indulge alla retorica e al melodramma: un unico movimento di macchina accompagna i volteggi di un futuro femminile risoluto, capace di uscire delle mura domestiche mentre il vento spazza via i ridicoli paraventi tesi a nascondere gli orrori del privato.

Il regista, Nader Sayevar, è stato assistente del grande e perseguitato Jafar Panahi che qui collabora alla sceneggiatura e, soprattutto, cura il montaggio dando al racconto una solidità degna della miglior tradizione del cinema persiano.

Durante i titoli di coda, assistiamo ai video delle ragazze aderenti al movimento “Donna, vita e libertà” che, pacificamente e coraggiosamente, danzano per le strade e per le piazze iraniane togliendosi il velo e sfidando la repressione.

LA TESTIMONE – SHAHED

Regia: Nader Sayevar; sceneggiatura: N. Sayevar, Jafar Panahi; fotografia (colore): Rouzbeh Raiga; montaggio: J. Panahi; musiche: Karwan Marouf; interpreti: Maryam Bobani, Nader Naderpour, Ghazai Shojaei, Hana Kamkar, Abbas Imani; produzione: ArtHood Films, Golden Girls; formato: 1,85:1; origine: Germania-Austria 2024; durata: 100 min.