Il film: In fuga per scegliere tra desiderio e necessità
Questo è il filo conduttore di Noi due del regista Nir Bergman e sceneggiato da Dana Idisis (ispiratasi al rapporto tra il proprio padre e il fratello autistico). Un road-movie di produzione italo-israeliana che, prendendo le mosse da Tel Aviv, narra la storia struggente dell’amore tra un padre che ha rinunciato ad ogni velleità di carriera (era un disegnatore di successo) per dedicarsi a proteggere e a spiegare agli altri la sua creatura, e un figlio ormai grande ma non autosufficiente ed eternamente bambino. La ex moglie di Aharon prova sicuramente lo stesso amore verso Uri, ma resta ai margini della storia poiché non ha saputo rinunciare a sé stessa, incapace di totalizzarsi nell’accompagnamento del figlio verso un’età adulta piena di incognite e di inciampi. L’unica azione che Tamara compie, apparentemente a favore del figlio, è spingerlo a diventare ospite di una struttura specializzata.
Ma questo gesto, forse troppo egoistico, porterà Aharon a farsi scudo di Uri attraverso gesti disperati, tali da infrangere le regole prestabilite e, quindi, anche la legge. Nir Bergman rende al meglio, senza scadere nel patetico, la complessa figura di un ragazzo che ha un’immensa passione per i film di Charlie Chaplin ed in particolar modo per Il Monello, che guarda ininterrottamente, ipnotizzato e rilassato dall’omino con baffetti e bombetta e dal giovanissimo ribelle che gli sta accanto. Non meno efficace è la rappresentazione dell’irrefrenabile gioia che gli scatena il costante ascolto di Gloria di Umberto Tozzi (la hit internazionale della fine degli anni Settanta che tanto piace ai cineasti di mezzo mondo) come accade nella scena manifesto del film dove padre e figlio sono intenti a radersi davanti allo specchio. E mentre la pasta con le stelline e i pesci nell’acquario rappresentano per Uri la parte rassicurante della sua fragile esistenza, la macchina da presa rinuncia ad ogni ambizione di diventare protagonista e le immagini rimangono essenziali e asciutte. La scelta stilistica del regista lascia una traccia indelebile soltanto quando decide di affidare il racconto al registro della leggerezza per farci assistere alla buffa camminata al rallentatore (per evitare le lumache invisibili) oppure per mostrarci i fantasiosi espedienti messi in atto da Aharon per attraversare le porte automatiche che terrorizzano il figlio. Allo stesso tempo, i momenti dove la disperazione prende il sopravvento, dove la malattia rende impossibile ogni dialogo, sono contenuti con pudore e rispetto, fatto salvo per la scena alla stazione dove l’umiliazione è totale e insopportabile.
Il finale è bello, struggente, caldo e commovente come del resto l’intera storia. Tutto finalmente sembra mettersi in ordine avendo Aharon accettato un compresso tra quanto aveva desiderato e quanto è oggettivamente necessario. Accompagnato dallo sguardo amorevole di suo padre, Uri si trova nel centro specializzato ma deve superare l’ennesima porta automatica. Come fare per aprirla? Basterà premere il bottone disegnato a matita sulla parete? A lui spetterà la scelta tra tornare indietro e riabbracciare il suo angelo custode o entrare in un nuovo mondo sollevando suo padre dall’angoscia di non potergli essere eternamente accanto.
NOI DUE [Hine Anachnu] di Nir Bergman. Con Shai Avivi, Noam Imber, Smadi Wolfman, Efrat Ben-Zur, Amir Feldman.
Produzione: Spiro Films, Rosamont; Distribuzione: Tucker Films; Italia, Israele, 2020
Drammatico; Colore
Durata 1h 34min