Il film: “Giurato numero 2”, al termine di una carriera, la parola al giurato
Arrivato anche in Italia quello che è stato annunciato come l'ultimo film del regista del novantaquattrenne Clint Eastwood
Non è certo la prima volta che Clint Eastwood paventa il proprio ritiro dalle scene, ma a novantaquattro anni suonati e con quaranta regie tonde all’attivo, stavolta potrebbe essere il caso di prendere l’annuncio più seriamente. Se fosse vero, chiudere una carriera lunga cinquant’anni con «Giurato numero 2» sarebbe una scelta interessante, interpretabile forse come un testamento che ripercorre i valori e i temi cari al regista.
La storia è una rilettura del capolavoro di Sidney Lumet «La parola ai giurati»: durante un processo per omicidio, undici giurati sono all’unanimità convinti della colpevolezza dell’imputato, che avrebbe ucciso la fidanzata dopo una lite. Uno, però, vota per la non colpevolezza, e lentamente tenta di convincere gli altri della presenza di un ragionevole dubbio. Si tratta di Justin Kemp, marito amorevole con una figlia in arrivo a giorni, che ha un motivo molto personale per difendere l’accusato: durante il processo si è reso conto di essere lui l’autore materiale del delitto, avendo investito la ragazza un anno prima, credendo di aver colpito un cervo.
Eastwood non fa sconti nel mettere in scena un legal thriller che ruota attorno a un dibattito morale complesso. Da un lato c’è il giurato di un intenso Nicholas Hoult, diviso tra la volontà di fare la cosa giusta e salvare un innocente, e quella di proteggere se stesso e la propria famiglia: con un passato da alcolista, la sua confessione gli varrebbe una condanna per omicidio stradale aggravato e passarebbe il resto della vita in prigione. Dall’altro lato c’è invece l’aspirante procuratore distrettuale di Toni Collette col suo motto “La giustizia è verità applicata”, che deve riscoprire il proprio dovere e la propria coscienza a fronte di una carriera politica appena avviata.
Come al solito, il conservatore Eastwood non ha alcuna fiducia nel “sistema”: chiedere un giudizio equo, razionale e imparziale a persone impreparate, irrazionali, distratte da vite a cui smaniano di tornare e appesantite da un bagaglio personale, non può funzionare. Quello in cui invece il regista ha fede (e non a caso Faith è proprio il nome del personaggio di svolta) è l’individuo, la sua capacità di agire secondo coscienza nei momenti critici, di ignorare i richiami del tribalismo, dell’autoconservazione, dell’egoismo, per fare ciò che è giusto.
Il percorso per arrivare a questa conclusione è un crescendo di tensione, un dramma che non va mai nella direzione che il pubblico si aspetta e in cui i personaggi continuano a scambiarsi i ruoli, seguendo un percorso tortuoso, sofferto, spesso contraddittorio, che è la lotta di ognuno con la propria coscienza, coi propri valori, coi propri fantasmi.
Lo stesso regista si mette in gioco in prima persona: l’attrice che interpreta Kendall, la vittima, è Francesca Eastwood, la figlia di Clint. La giustizia retributiva richiesta dai giurati diventa qui un fatto personale, il giurato che immagina se la vittima fosse sua figlia dà voce alle paure di ogni genitore, Eastwood compreso, mentre la risposta che riceve è provocatoria, e spinge a identificarsi (anche) coi genitori dell’accusato. Se c’è chi richiede un colpevole su cui puntare il dito, uno qualunque, che “se lo merita” comunque perché possessivo con la fidanzata, perché è un violento, perché ha gli stessi tatuaggi degli spacciatori del quartiere, c’è anche chi invece pretende giustizia per tutti gli innocenti, brave persone che siano o meno.
Che questo sia davvero l’ultimo film della cinquantennale carriera di Clint Eastwood resta ancora da vedere. Nel caso, comunque, sarebbe un’uscita in bellezza.
GIURATO NUMERO 2 di Clint Eastwood. Con Nicholas Hoult, Zoey Dutch, Toni Collette, Eric Resnik. USA, 2024. Thriller.