Il film. Futuro prossimo venturo, la malinconica ironia di Pif

 Col suo nuovo film, però, Pif (che si firma col nome per intero da regista, con lo pseudonimo da attore) sembra aver trovato un potere se possibile ancora più tentacolare e pervasivo di quello di Cosa nostra: quello del capitalismo della sorveglianza e della gig economy, della mercificazione dei dati e della delocalizzazione, dell’atomizzazione sociale e degli algoritmi.

Gli usuali avatar di Pif, Arturo e Flora, si ritrovano stavolta a combattere contro un mondo non più a misura d’uomo, in un futuro prossimo che somiglia inquietantemente al presente. Lui, Fabio De Luigi, scrive algoritmi per una grande ditta, finché la sua ultima creazione, pensata per eliminare gli elementi superflui, non determina il suo licenziamento. Lei, Ilenia Pastorelli, è un’assistente olografica scaricata tramite app, unica compagnia del povero Arturo dopo che, perduto tutto, si rassegna a lavorare come rider sottopagato per la multinazionale digitale Fuuber. Nonostante una ovvia “incompatibilità di software”, tra i due sboccia l’amore.

Partendo dal romanzo Candido di Guido Maria Brera, e in particolare dalla sua espansione Candido e la tecnologia a cura del collettivo creativo I Diavoli, E noi come stronzi rimanemmo a guardare si imposta come una sorta di episodio di Black Mirror all’italiana: singoli elementi del presente, come gli algoritmi che rendono infernale la vita dei rider (e non solo), la digitalizzazione degli impieghi, la pervasività di compagnie come Amazon, Google o Facebook, vengono rielaborati e portati alle loro estreme ma naturali conseguenze, in un esperimento mentale che crea un contesto (fanta?)scientifico distopico fin troppo credibile e angosciante. Pif affronta il tutto col sorriso dell’ironia, mantiene un occhio fermo sul Lei di Spike Jonze, ma guarda indietro fino al Playtime di Jacques Tati e perfino al nostrano Ratataplan di Maurizio Nichetti, con quest’ultimo che appare anche in un divertente cameo, ancora impegnato nelle sue corse senza sosta.

Saltando continuamente dalla commedia al dramma, fino a toccare il favolistico con la bella principessa da salvare rinchiusa nella torre più alta, Pif non rinuncia al proprio talento satirico, anzi, lo dirige verso un obiettivo diverso dal solito, ma sempre potentemente sociale e politico. Quello che manca, rispetto ai lavori precedenti, è la malinconica ma ostinata speranza che sembrava illuminare anche le triste considerazioni sulla pervasività della mafia nel contesto civile, quasi che, novello Cassandra, Pif lanci un monito che sa in partenza rimarrà inascoltato.

Il fulcro della pellicola e del suo messaggio, allora, non è da ricercare tanto nelle tristi riflessioni dell’ex-sindacalista Gianpiero di Maurizio Marchetti, che danno al film il suo irriverente ma azzeccatissimo titolo, quanto piuttosto nel monologo del “cattivo” di turno, il John Fuuber di Eamon Farren, un carismatico mix di Steve Jobs, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg che, contro ogni apparenza, rivendica una propria scontata, inevitabile e schiacciante vittoria.

Si ride e si ride volentieri, con l’ultima fatica di Pif, ma è e rimane il riso surreale, rassegnato e vagamente angosciato di chi non ha altro che l’ironia per far fronte a un futuro affatto promettente che avanza a passo veloce. Un film imperfetto, senza dubbio, con troppa carne al fuoco per sviluppare tutto in maniera soddisfacente, ma sincero e appassionato.

 

E NOI COME STRONZI RIMANEMMO A GUARDARE

di Pierfrancesco Diliberto.

Con Fabio De Luigi, Ilenia Pastorelli, Pif, Eamon Farren.

Italia, 2021. Fantascienza.