Il film: “Futura”, i giovani e le loro speranze sul futuro

Futura è la cronaca di un viaggio in Italia alla ricerca di adolescenti a cui porre un’unica domanda: come vi immaginate il vostro futuro? Un progetto avviato nei primi mesi del 2020 e che, inevitabilmente, è stato da prima fermato e poi attraversato dalla pandemia. Le interviste sono filmate all’interno dei luoghi deputati alla quotidianità dei nostri ragazzi, come la scuola, i parchi pubblici, le palestre. Il campione preso in considerazione è variegato e va dagli studenti universitari agli ospiti dei centri di accoglienza per stranieri, dagli abitanti delle grandi città ai residenti dei piccoli borghi di provincia. Molti degli intervistati comunicano in un dialetto quasi incomprensibile, ma tutti ci restituiscono il senso delle loro passioni tristi.

E se le generazioni precedenti avevano paura del futuro, questa ci racconta come ai tempi della dad addirittura non si riesca a liberarsi da un profondo senso di angoscia. Futura (presentato alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes) è anche un esempio di documentario collettivo (non a episodi), affidato ai registi Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Francesco Munzi. Un’opera esteticamente raffinata, filmata in pellicola, rinunciando alla perfezione del digitale ma acquistando in autenticità senza tempo (che si rifà ai classici del passato, come i Comizi d’amore di Pasolini o I bambini e noi di Comencini). Figlio di un cinema antico, che fissava sulla celluloide bagni di realtà, Futura è soprattutto un film-inchiesta che si regge sullo sguardo in macchina dei divenenti (così li definisce la Rohrwacher), quasi sempre smarrito, apparentemente distratto, ma mai superficiale, con i confini dei loro sogni ben delineati: avere una famiglia, conquistarsi un lavoro, coltivare i propri interessi. Posti dinanzi a tanta schiettezza, i registi si affidano alla sospensione del giudizio, si limitano a piazzare la macchina da presa, lasciano parlare, registrano le immancabili critiche verso il mondo dei grandi (“Gli adulti sono quelli che hanno sbagliato e che diventano maestri quando hanno la forza di raccontarci i loro errori”).

Futura smitizza il luogo comune che vuole i giovani vuoti e senza interessi. E i loro pensieri sono ancor più profondi quando affermano di preoccuparsi della lotta contro i pregiudizi verso le diversità, di voler praticare attività sportive dimenticate dai mezzi di comunicazione, di considerare determinante un’esperienza formativa all’estero. Mentre parlano si guardano intorno, scrutano dove si nasconde la chiave della loro misteriosa esistenza. Futura (ogni riferimento alla canzone di Lucio Dalla non è puramente casuale) è il diario di uno stato d’animo contagiato. Perché, in questo anno e mezzo, le nuove generazioni hanno dovuto fare i conti con le pandemie che hanno minato dal profondo le loro esistenze. A partire dai sensi di colpa derivanti dall’averli fatti sentire responsabili della malattia dei propri familiari, per continuare con i sempre più diffusi stati d’ansia e di depressione. E allora, per esorcizzare lo smarrimento di questi Noi che desideriamo senza fine (da Raoul Vaneigem), affidiamoci alla musica, cantando tutti insieme il brano che dà il titolo al film, oppure rappando testi rabbiosi, meglio ancora intonando le eteree melodie de Il bianco e dolce cigno di Jacob Arcadelt. Il finale è inaspettata, rarefatta poesia, espressa attraverso immagini fuori fuoco, come in un filmino amatoriale. Tra speranza e sfiducia, certezze e paure. Comunque, guardando sempre al futuro.

 

FUTURA di Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Francesco Munzi.

Produzione: Avventurosa, RAI Cinema. Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà. Italia; 2021.

Documentario; Colore.

Durata 1h 45 min.