Il film: “È stata la mano di Dio”, il racconto intimo e doloroso di Paolo Sorrentino
A vent’anni da L’uomo in più, con solo nove (Loro1 e Loro2 sono un unico film) celebrate pellicole all’attivo, Paolo Sorrentino abbandona i divi che hanno caratterizzato il suo cinema, per concentrarsi sulla discesa a Napoli di Diego Armando Maradona (presente in Youth – La giovinezza e, ora si capisce perché, ringraziato la notte degli Oscar), l’uomo che avrebbe segnato la storia del calcio e del costume degli anni Ottanta, quella dei Mondiali con il celebre gol con la mano, e quella della sua famiglia. È stata la mano di Dio è sorprendente intimità familiare, divertente e tragica, popolata da personaggi grotteschi che strappano risate a scena aperta. Donne e uomini deformati dall’obiettivo della macchina da presa e dagli occhi di Fabietto Schisa (Filippo Scotti, premio Marcello Mastroianni), liceale introverso, alter ego del regista, che si nasconde dietro le cuffie del suo walkman. E se gli artisti sono sempre un po’ pazzi, l’unica capace di comprenderlo è Patrizia (Luisa Ranieri), la zia folle.
Come del resto anche Marriettiello (Lino Musella), lo stupido del quartiere, e Alfredo (Renato Carpentieri), che intuisce come soltanto l’arrivo di Maradona potrà salvare tutti da una “realtà scadente”. Toni Servillo, il divo dei suoi divi, (già Tony Pisapia, Titta Di Girolamo, Giulio Andreotti, Jep Gambardella, Silvio Berlusconi, Ennio Doris), questa volta assurge al ruolo di Saverio Schisa, padre cinematografico del regista, mentre Teresa Saponangelo interpreta la madre Maria. In È stata la mano di Dio la tipica messa in scena sorrentiniana, ricca di virtuosismi cinematografici, è circoscritta all’apparizione di San Gennaro (un Enzo Decaro in smoking) e del monaciello, il monaco bambino che tutti sono destinati ad incontrare. I classici paesaggi onirici notturni sono appena accennati in una piazza del Plebiscito invasa da auto in sosta, mentre le donne danzanti de La grande bellezza sono limitate a una ballerina impegnata in un provino per Fellini. Al contrario, come indelebile segno di continuità con la sua mano registica, rimane quella capacità di mettere in evidenza una colonna sonora che alterna vuoti e pieni, e che sa rendersi dimessa protagonista attraverso il fischiettare dei personaggi, il rievocare l’onomatopea di un motoscafo, l’abbandonarsi al silenzio assoluto.
La tragica scomparsa dei genitori, trasformerà Fabietto in Fabio, ovvero in un adulto che avrà rescisso violentemente il proprio cordone ombelicale, e che scoprirà la parte più intima della sua fisicità, ma soprattutto che incontrerà il suo maestro, il regista Antonio Capuano (sarà suo cosceneggiatore in Polvere di Napoli), figura fondamentale che gli farà capire che per compiersi non dovrà staccarsi dalla propria città (“Non ti disunire”) ed iniziare a raccontare per immagini. “Dopo quello che è successo a mamma e papà non so se ce la faccio ad essere felice” medita il ragazzo, ma ben presto, ricco di calore ed esuberanza partenopea e di dolorose esperienze vissute, il suo cinema si farà terapia che lo aiuterà a riconciliarsi con la vita. Una cura efficace per un Fabietto/Sorrentino che come Maradona, incarnazione delle gioie e delle tragedie del popolo napoletano, chiudendo il film sulle meravigliose note di Napule è di Pino Daniele, potrebbe dichiarare “Ho fatto quello che ho potuto. Non credo di essere andato così male”.
È STATA LA MANO DI DIO di Paolo Sorrentino. Con Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Lino Musella, Enzo Decaro.
Produzione: The Apartment, Fremantle. Distribuzione: Netflix. Italia, 2021.
Drammatico, Colore.
Durata 2h 10 min.