Il film: “Campo di battaglia”, affinché nessuno muoia, la medicina a favore dell’umanità

In concorso alla Mostra di Venezia, è il tentativo da parte di Gianni Amelio di attualizzare la guerra e la pandemia che imperversarono in Europa più di cento anni fa

«1918, l’anno della vittoria»: con questa scritta comincia il nuovo film di Gianni Amelio, una scritta dal sapore più paradossale che storico, in quanto tutta la vicenda è incentrata sui costi umani che quella vittoria costò all’Italia. I campi di battaglia tradizionalmente intesi non li vediamo, ma sono rievocati attraverso i racconti sommari dei feriti, i loro sguardi allucinati, il delirio in cui vivono, le mutilazioni orrende sui loro corpi. E campo di battaglia è anche quello ideale tra i due amici medici in un ospedale militare: l’uno, Stefano, con una sua etica patriottica, pronto a scoprire i mentitori e a rispedirli al fronte – se non affidarli al plotone di esecuzione; l’altro, Giulio, inorridito dal sangue, foss’anche il proprio durante una rasatura, mosso da un afflato umanitario non ben definito e disposto a peggiorare le menomazioni dei soldati per farli tornare a casa magari invalidi, ma vivi.

Stefano e Guido si vogliono bene, si stimano, ma hanno un atteggiamento diverso di fronte alla realtà della guerra e, per esteso, della vita. Del primo conosciamo la famiglia alto borghese di provenienza, la fede nella ragion di Stato, le ambizioni politiche di chi, alla fine del conflitto, andrà a fare pulizia della italica corruzione (possiamo immaginare anche con l’ausilio di un manganello e dell’olio di ricino). Di Giulio non sappiamo quasi nulla se non che le sue vere ambizioni sarebbero di continuare la ricerca di laboratorio per studiare i bacilli e trovarne gli antidoti. È un angelo triste, remissivo, quasi attonito, animato da un indefinito sentimento di solidarietà e di fede nella vita. «Qui non muore nessuno», dice a un certo momento a un’ammalata di febbre “spagnola”, l’altro grande flagello che andò a sommarsi a quello della guerra in quell’anno di “vittoria”. Tra i due oscilla Anna, una loro compagna di studi universitari, abbandonati, poi, a causa della sua condizione femminile, ora crocerossina volontaria dal forte temperamento che si fidanza con Stefano, ma sembra prendere, nel finale, il testimone di Giulio.

Amelio fa una scelta minimalista, mostrandoci caso per caso i soldati in ospedale, quelli veramente mutilati e coloro che sanno simulare con un’arte di arrangiarsi che scade nella logica camorristica. Lo fa ricorrendo a lunghe inquadrature che indugiano sui primi piani, affidandosi quasi esclusivamente ai dialoghi: l’azione latita. Ognuno parla in dialetto stretto (tanto che sono necessari i sottotitoli), a seconda della regione di provenienza, ma (con scarsa plausibilità) i due medici comprendono tutto. Spesso le sequenze sono concepite con un effetto teatrale da filodrammatica: un interprete sta fermo in un angolo, meditabondo, per poi andare all’improvviso a scontrarsi con un altro personaggio. Più interessante è la parte dedicata alla “spagnola” e agli esperimenti per fermarla, giocata su un piano di attualizzazione con la recente pandemia da Covid-19 per cui sullo schermo si alternano tamponi, mascherine e camion riempiti di cadaveri da smaltire di notte come accadde a Bergamo quattro anni fa.

L’assunto è positivo e più che condivisibile: l’uomo invece di ambire al potere, causa delle guerre, dovrebbe tendere alla cura, alla ricerca scientifica, alla solidarietà – e la donna, da sempre discriminata, saprebbe muoversi ancor meglio in questa direzione se fosse libera di farlo. Peccato per il taglio didascalico del film dove il potenziale cinematografico è sacrificato a una messa in scena più adatta al piccolo che al grande schermo.

CAMPO DI BATTAGLIA

Regia: Gianni Amelio; soggetto: dal romanzo La sfida di Carlo Patriarca; sceneggiatura: G. Amelio e Alberto Taraglio; fotografia (colore): Luan Amelio Ujkaj; musica: Franco Piersanti; scenografia: Beatrice Scarpato; interpreti: Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini, Alberto Cracco; produzione: Kavac Film, IBC Movie, One Art, Rai Cinema; formato: 1,85:1; origine: Italia 2024; durata: 104 min.