Il film: “Barbie”, al cinema la bambola più famosa al mondo
Dopo più di dieci anni di passaggi tra studios e alternarsi di registe, sceneggiatrici e attrici protagoniste, arriva al cinema «Barbie», il film sulla bambola più famosa del mondo, una sorprendente giostra anarchica e ironica tra le istanze del femminismo.
Tutte le Barbie prodotte da Mattel vivono a Barbieland, una terra in cui vige un rigido matriarcato: le posizioni di potere, e tutti i lavori in genere, sono in mano alle donne, mentre i Ken non sono che begli accessori. Tra le migliaia di Barbie di differente forma, professione, etnia c’è anche Barbie Stereotipo, la cui vita perfetta fatta di serate tra ragazze e numeri musicali coreografati viene interrotta bruscamente da pensieri di morte, depressione, piedi improvvisamente non più strutturati per il tacco 12, cellulite. Per tornare come prima, dovrà viaggiare nel mondo reale e riportare un po’ di magia nella vita della bambina che gioca con lei… ma il mondo reale non somiglia affatto a quello che lei immagina.
Date le premesse, il rischio di eccesso di retorica in «Barbie» era una possibilità più che concreta: impossibile resistere alla tentazione di intavolare una lezione sulla parità dei sessi, sul patriarcato, sul femminismo, nel confronto tra un mondo in cui le Barbie fanno e sono tutto quello che promettono alle bambine che potranno fare ed essere fin dal 1959, e uno, il nostro, in cui le cose non vanno esattamente così.
Per fortuna, però, al timone del film c’è Greta Gerwig, talento dietro a «Lady Bird», che una volta ricevuta una bambola da Warner Bros. e Mattel fa l’unica cosa sensata: ci gioca. Invece che il ruolo della “maestrina”, allora, Gerwig preferisce quello della castigamatti, e forte di un’interprete ironica e carismatica come Margot Robbie costruisce una satira brillante, briosa e piacevolmente cattiva, con un livello di “politicamente scorretto” decisamente inaspettato in un blokcbuster americano.
Da un incipit fulminante che omaggia/parodia «2001: Odissea nello spazio» a una serie di gag abbondantemente condite di riferimenti culturali e politici (qualcuno ha detto Donald Trump?), «Barbie» affronta tutti i temi che ci si aspetterebbe, ma sotto la deformante lente rosa del mondo fuori dal mondo della protagonista, che pare appena uscita da un frontale tra «The LEGO Movie» e «La rivincita delle bionde», e attraverso lo sguardo stolido e ammirato del meraviglioso Ken di Ryan Gosling, che scopre il patriarcato e avvia una rivoluzione contro la tirannide rosa per stabilire un apartheid identico ma di segno opposto.
Con battute fulminanti, un ritmo invidiabile, simpatici numeri musicali (divertentissimo quello dei Ken guidato da Gosling e Simu Liu) e una quantità abnorme di vernice rosa (narrano le leggende che la Rosco abbia esaurito le scorte globali per rifornire il set), «Barbie» va certo incontro a qualche inciampo, specie nei due indigigeribili e seriosi monologhi di America Ferrera e di Rhea Perlman e nella bizzarra e insensata caratterizzazione di Will Ferrell e del resto del board della Mattel, ma diverte in modo molto più intelligente e cattivo di quanto fosse lecito aspettarsi, e ha il coraggio di usare l’ironia come strumento comunicativo per istanze più che mai di attualità, troppo spesso però azzoppate da una retorica controproducente.
Non proprio originalissimo ma brillantemente raccontato, sorprendentemente folle e scatenato, «Barbie» è un’anarchica e benvenuta novità nel panorama dei blockbuster estivi, un divertissement che sa parlare di argomenti seri, avendo l’intelligenza di non prendersi mai troppo sul serio.
BARBIE di Greta Gerwig. Con Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera, Ariana Greenblatt. USA, GB, 2023. Fantastico.