Il film: “Anywhere Anytime”, “Ladri di biciclette” 80 anni dopo, luci e ombre di vite in sospeso
Direttamente dalla Settimana Internazionale della Critica dell'81ª Mostra del Cinema di Venezia, arriva in sala il sorprendente esordio del documentarista Milad Tangshir nel lungometraggio di finzione
Milad Tanshir è iraniano di origine e italiano di adozione, ha firmato alcuni cortometraggi in realtà virtuale e un documentario. «Anywhere Anytime» è il suo primo lungometraggio di finzione, e sfrutta appieno la prospettiva del regista, che può guardare all’Italia “da fuori ma non troppo”, come esterno ma profondamente calato nella quotidianità del paese.
La storia che sceglie di raccontare è quella di Issa, un ragazzo senegalese, immigrato irregolare, che perde il lavoro al mercato ortofrutticolo di Torino quando il capo si spaventa per i continui controlli della polizia. Grazie all’amico Mario, che gli presta telefono e account, Issa diventa allora un rider, ma al suo primo giorno di lavoro la bicicletta gli viene rubata. Il ragazzo farà di tutto per poterla riavere e continuare così a guadagnarsi da vivere.
L’ovvio riferimento del film è a «Ladri di biciclette», ma Tangshir sceglie di porsi rispetto al capolavoro di De Sica, più che come omaggio, come un vero e proprio aggiornamento, una continuazione del discorso, che fa uso anche del linguaggio e degli stilemi del neorealismo.
La domanda sottesa alla storia di Issa, in arabo Gesù, davvero un “povero Cristo” che attraversa un calvario dopo l’altro, è quanto sia cambiato in quasi ottant’anni il modo che ha l’Italia e in genere il mondo di trattare i suoi ultimi. La risposta è sincera, dolorosa, sconfortante: chi occupa gli ultimi gradini cambia, ma la situazione non è andata a migliorare. Anzi, ai nuovi ultimi rappresentati da Issa manca perfino la consolazione della famiglia, l’unica che era rimasta all’Antonio Ricci di Lamberto Maggiorani.
Non c’è solo De Sica nel film di Tangshir, c’è anche tanto Pasolini: gli attori, compreso il bravissimo e convincente protagonista Ibrahima Sambou, sono rigorosamente non professionisti, e il regista indugia spesso e volentieri sui loro volti con primissi piani che sono quasi ritratti, fino alla splendida carrellata – quella sì davvero pasoliniana, imprestata dalla chiamata degli Apostoli ne «Il Vangelo secondo Matteo» – alla mensa della Caritas.
Anche Torino diventa un personaggio vero e proprio, coprotagonista a tutti gli effetti, che addirittura si trova a commentare la vicenda attraverso le scritte sui muri che fungono da coro greco. La città è immortalata a livello strada, è viva e vibrante, lontana da un immaginario da cartolina, e offre uno spaccato su un mondo alieno eppure costantemente sotto gli occhi.
La grande ambizione di Milad Tangshir, mosso da un umanesimo in stile fratelli Dardenne, è quella di cambiare la percezione del quotidiano in chi guarda, di offrire uno scorcio sugli abissi di storie e piccole e grandi tragedie dietro i volti anonimi degli invisibili con cui interagiamo ogni giorno, dai rider ai venditori di bibite in spiaggia.
Senza mai scadere nel patetismo, «Anywhere Anytime» offre un affresco di struggente e appassionante umanità, luci e ombre di vite in sospeso, con momenti di profonda tenerezza (i consigli su quali siano i posti più caldi sull’autobus per dormirci la notte, il confronto con la vecchia gentile che ravviva la nostalgia di casa) che pur nella malinconia gettano un raggio di luce su un’esistenza tormentata.
Scegliere per il proprio esordio di mettersi a confronto con quello che è unanimente considerato uno dei punti più alti del cinema italiano di sempre poteva rivelarsi una mossa azzardata. Con la sua sincerità, umiltà e delicatezza, invece, «Anywhere Anytime» si rivela inaspettatamente più che degno di proseguire il discorso cominciato quasi ottant’anni fa da «Ladri di biciclette».
ANYWHERE ANYTIME di Milad Tangshir. Con Ibrahima Sambou, Moussa Dicko Diango, Success Edemakhiota, Max Liotta. Italia, 2024. Drammatico.