Il film: “Akira”, giorni di un futuro passato
Nel 1988, in Italia, il cinema d’animazione era considerato in via praticamente esclusiva appannaggio dell’infanzia: serie anime come «Ken il guerriero» e «L’Uomo Tigre» trasmesse in televisione non erano riuscite a scalfire minimamente un preconcetto costruito su anni e anni di film Disney, di Looney Toons, di Hannah & Barbera. Chi davvero riuscì a imprimere un cambiamento culturale forte verso una “emancipazione” dell’animazione fu Katsuhiro Ōtomo, che col suo «Akira» riuscì a porre le basi per aprire anche in Occidente il mondo del cinema animato a una varietà di toni, temi e stili fino a quel momento impensabili o quasi.
Il film è un’epica fantascientifica densa, filosofica, adrenalinica, brutale, ambientata in un 2019 distopico a Neo-Tokyo, metropoli costruita sulle rovine della vecchia capitale distrutta durante la Terza Guerra Mondiale. In questo scenario si muovono gang di motociclisti che sfidano lo status quo rappresentato da un governo oligarchico e totalitario: uno di questi biker, Tetsuo, vede dopo un incidente risvegliarsi in lui misteriosi poteri psichici, e mentre diventa cavia dei militari comincia a sentire l’impellente richiamo di qualcuno chiamato Akira.
Difficile condensare la trama di un film come «Akira», ricco di stratificazioni, di sottotemi, di suggestioni, di personaggi memorabili, di esperimenti di world building ancora affascinanti. Lo stesso Ōtomo, che nello scrivere il film dovette adattare il proprio manga, piuttosto che affrontare l’impresa impossibile di tagliare e rimontare la lunghissima serie originale scelse di cambiare completamente la storia, lasciando inalterate solo le premesse generali.
Per gli standard del 1988 il film fu un vero e proprio kolossal: i maggiori studi di produzione giapponesi fondarono una società in comune, la Akira Committee, apposta per coprire il budget esorbitante di oltre un miliardo di yen, a fronte di una media di costi che raramente andava oltre i 100 milioni a pellicola. Un investimento ampiamente ripagato.
Ōtomo sfrutta al massimo le nuove possibilità offerte dal passaggio dalla pagina allo schermo, e travolge il pubblico con suggestioni sensoriali a tratti stordenti, di indubbio fascino: immagini ipercinetiche che tanto devono al cinema occidentale come «TRON» o «Mad Max», architetture da “futuro vecchio” che rimandano a «Blade Runner», una magnifica colonna sonora firmata da Shoji Yamashiro che è ormai di culto quanto il film stesso.
Dietro gli intrighi politici e l’antimilitarismo, dietro la fantascienza e il film d’azione, dietro il body horror in stile Cronenberg e gli inseguimenti mozzafiato, «Akira» presenta una non banale riflessione filosofico-antropologica, un disperato richiamo a un radicale cambio di rotta per l’intera umanità. Con lo spettro-trauma dell’atomica che aleggia sull’intera storia, Ōtomo teorizza una nuova evoluzione umana, un mutamento biologico che si fa allegoria di una trasformazione culturale, morale e spirituale, unica chance di sopravvivenza prima di ripercorrere gli errori del passato.
A trentacinque anni dall’uscita del film il mondo non è più vicino di allora alla tanto sperata illuminazione, e anzi gli echi della guerra che spaventavano Ōtomo si fanno sempre più forti. Un motivo in più per riscoprire un film che, nel suo genere, ha fatto da spartiacque, liberando le potenzialità narrative e tematiche del cinema d’animazione per adulti.
AKIRA di Katsuhiro Ōtomo. Con (voci) Mitsuo Iwata, Nozomu Sasaki, Takeshi Kusao, Tarō Ishida. Giappone, 1988. Animazione.