IL FIGLIO PIÙ PICCOLO

DI FRANCESCO MININNI

E’ sempre apparso chiaro che nel passaggio dal passato al presente la dolcezza della atmosfere tipica di Pupi Avati si indurisce e il calore del ricordo si trasforma nella freddezza dell’attualità. «Il figlio più piccolo», che non fa del pessimismo una maniera, ci aiuta a capire il perché: ci vorrebbe l’amore. Quel che una volta viaggiava sull’onda di un sentimento, oggi si scontra con egoismo, cinismo, cattiveria, al punto da relegare l’amore nel ghetto delle illusioni, delle utopie o delle nevrosi. E Avati, che si rende conto della situazione in cui viviamo, si sente in dovere di dare il proprio contributo consapevole che sogni grotteschi e dolci ricordi non sempre aiutano ad affrontare la vita vera. Anzi, ne «Il figlio più piccolo» dimostra una tale padronanza della materia drammatica da non sbagliare mai un tono organizzando una sceneggiatura tagliente e ricchissima che non risparmia brividi d’indignazione e stilettate al cuore, evitando con bravura il rischio dell’accumulo e, comunque, lasciando una porta aperta a tutti quelli che, per passione o ingenuità, non possono fare a meno d’amare.

Si comincia sotto il peggiore degli auspici: Sergio Bollino è cacciato da un convento perché, invece di pregare, giocava in borsa. Se ne va con i sandali, che non smetterà mai. Lo ritroviamo  consulente finanziario di un palazzinaro, Luciano Baietti, che si sposa con Fiamma, madre dei suoi due figli Paolo e Baldo. Il matrimonio dura poco: subito dopo la cerimonia, Luciano riparte per Roma con in tasca i documenti firmati da Fiamma per certe società immobiliari. Anni dopo, a divorzio già avvenuto e a un passo da un nuovo matrimonio d’interesse, Luciano si trova nel mirino della giustizia e, su consiglio di Sergio, convoca il figlio più piccolo, Baldo: apparentemente per averlo come testimone di nozze, in realtà per intestargli alcune finanziarie e addossargli tutti i milioni reclamati dall’ufficio delle imposte.

In questo gelido caos che non prevede né dignità né affetti familiari né umana pietà, Pupi Avati non se la sente di affondare il coltello fino in fondo e mostra senza esitazione di stare con i più piccoli: con Fiamma che, pur nevrotica e depressa, vive una costante illusione d’amore che è la sua porta aperta su una realtà altrimenti destabilizzante, e con Baldo, imbranato, ingenuo, credulone, ma comunque vitale nella sua convinzione che, nonostante tutto, ci sia sempre un domani. Vagamente simile a un altro figlio più piccolo del cinema di Avati, il fratello minore di «Fratelli e sorelle», Baldo potrebbe essere addirittura una proiezione autobiografica dell’autore: è studente del DAMS, sogna di fare il regista e ha una fiducia illimitata nei legami familiari. È grazie a lui, più che alla madre costantemente sopra le righe, se «Il figlio più piccolo» non assume le cadenze e i toni della tragedia senza limiti. E sì che, cammin facendo, si ricevono tali e tanti messaggi negativi da maturare una sorta di disagio fisico nei confronti di una tale esibizione di crudeltà e assenza di sentimenti. Il mondo che il film descrive con analitica meticolosità è quello di freddi calcoli commerciali, di totale disinteresse per un prossimo che, se non serve allo scopo, non è altro che un fastidioso ostacolo, di cinismo come stile di vita.

Il personaggio di Luciano, interpretato con sorprendente misura da Christian De Sica, discende da tanti precedenti quasi tutti riconducibili alla tipologia di Alberto Sordi. Ma Luciano è un poveraccio che già contiene in sé le caratteristiche della vittima. La vera eminenza grigia è Sergio, cui Luca Zingaretti dà carattere e grinta. Per lui, a differenza che per Luciano, non si riesce ad invocare alcuna attenuante. Alla fine tutte le nostre simpatie vanno a Nicola Nocella, un Baldo vero, credibile e disperatamente attaccato a una speranza che potrebbe anche essere un’utopia. Con lui Avati continua la preziosa attività di talent scout che potrebbe anche accostarlo a qualche maestro del neorealismo.

«Il figlio più piccolo» non consente divagazioni umoristiche o sognanti. La realtà è mostrata in tutta la sua desolante freddezza, con uno spazio davvero minimo lasciato alla speranza. Perché, come dice Pupi Avati, il passato si può anche manipolare per renderlo più dolce e accogliente: il presente, invece, si ha il dovere di mostrarlo per quel che è.

IL FIGLIO PIÙ PICCOLOdi Pupi Avati. Con Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti. Nicola Nocella, Sydne Rome.ITALIA 2010; Drammatico; Colore.