IL DISCORSO DEL RE

DI FRANCESCO MININNI

C’è storia e storia. Quella ufficiale finisce sui libri e, a seconda dei casi, reclama gloria e rispetto o disonore e disprezzo. Quella minimalista, invece, senza la quale la prima probabilmente non esisterebbe nemmeno, è conservata da qualcuno in un cassetto e, dandosi le condizioni che lo consentano, portata alla luce molto tempo dopo, a giochi fatti e ferite rimarginate.

La storia ufficiale, a proposito di Re Giorgio VI d’Inghilterra, parla della sua salita al trono a seguito della rinuncia del fratello Edoardo VIII a causa dell’amore per la divorziata Wallis Simpson, del coraggio e della fermezza dimostrati nel corso della Seconda Guerra Mondiale, di un’assoluta dedizione alla patria e al popolo inglesi. La storia minimalista, invece, desunta dai diari del logopedista australiano Lionel Logue, parla di un uomo (ovviamente) come noi, con paure e debolezze, ma soprattutto con l’insormontabile (a suo modo di vedere) handicap della balbuzie. Qui subentra, appunto, Lionel Logue, ultimo di molti specialisti consultati e unico ad ottenere il risultato richiesto. E subentra anche un regista, Tom Hooper, molto attivo in televisione e conosciuto al cinema per un unico film, «Il maledetto United», che in Italia è uscito direttamente nel circuito home-video. A dispetto delle modeste credenziali, ne «Il discorso del Re» Hooper si rivela notevole creatore d’immagini, capace con inquadrature dall’alto o dal basso di sottolineare le classi sociali, il rigore dei cerimoniali e la differenza dei luoghi dell’azione (tra Westminster Abbey e un quartiere molto popolare, ad esempio), capace persino di trasformare in cinema un testo eminentemente teatrale e, in ragione di questo, di servirsi al meglio di due meravigliosi interpreti come Colin Firth e Geoffrey Rush.

Il sottile divertimento che sta alla base di tutta l’operazione, già gratificata di dodici nomination all’Oscar, sta nel fatto che la matrice del film è prevalentemente australiana. Australiana metà della produzione, australiano il coprotagonista Geoffrey Rush (anche produttore esecutivo) e, soprattutto australiano il personaggio di Lionel Logue, l’uomo che aiutò Re Giorgio VI a vincere la balbuzie. In un certo senso, una sorta di rivincita nei confronti della casa madre da un protettorato spesso guardato dall’alto in basso. Come dire: c’è poco da ridere, abbiamo anche noi qualcosa da insegnarvi senza la quale, forse, la storia sarebbe andata in modo diverso.

Sgombrato il campo da questa sottile polemica, resta il gradevolissimo spettacolo di due uomini che, trattandosi per precisa volontà del logopedista da pari a pari, instaurando un solidissimo rapporto di fiducia e abbattendo barriere sociali ritenute insormontabili, ottengono il «semplice» risultato di eliminare un difetto che, dal punto di vista del Re, avrebbe sicuramente compromesso la sua regale attività. Il tutto narrato con semplicità, senza forzature spettacolari e con assoluta proprietà di linguaggio.

È ovvio che «Il discorso del Re», con Hooper o con un altro regista, non sarebbe stato un film da ricordare senza il contributo ineguagliabile dei due protagonisti. Posto che Helena Bonham-Carter (la moglie del Re), Timothy Spall (Winston Churchill), Michael Gambon (Re Giorgio V), Guy Pearce (Edoardo VIII), Derek Jacobi (l’arcivescovo Lang) e Jennifer Ehle (la signora Logue) sono caratteristi straordinari, Colin Firth è un Giorgio VI (altrimenti detto Bertie) che alterna con naturalezza da campione fermezza e insicurezza, spirito regale e umane titubanze, oltre al fatto di riuscire a balbettare senza la minima forzatura e di fronteggiare il microfono come un nemico sul campo di battaglia. Ma, forse anche un gradino più su, Geoffrey Rush si conferma uno dei migliori trasformisti del cinema. Il suo Logue, ricchissimo di ironia e intelligenza, diventa un vero e proprio direttore d’orchestra intento a dirigere un unico strumento: la voce del Re. Certo, «Il discorso del Re», anche dovesse fare cappotto di Oscar, non è quel che si dice un capolavoro. Ma gli eccellenti prodotti medi stanno diventando una merce sempre più rara.

IL DISCORSO DEL RE (The King’s Speech) di Tom Hooper. Con Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham-Carter, Timothy Spall, Guy Pearce, Michael Gambon. GB/AUSTRALIA 2010; Drammatico; Colore