IL DIARIO DI JACK
DI FRANCESCO MININNI
Jack Giamoro, capo di un’agenzia di talenti a Hollywood, ha proprio tutto per essere felice: un’attività redditizia, soci complici e fedeli, una bella moglie, porte aperte sul gran mondo. D’altro canto, ci sono un padre colpito da ictus che vive in casa con lui, brutti ricordi d’infanzia che a quanto pare non sono così facili da estirpare, una sostanziale mancanza di fiducia in se stesso abbinata alla convinzione di non sbagliarne una. È per questo che, alla prima caduta, Jack si sgretola di conseguenza. Quando la moglie gli confessa un tradimento (con uno dei talenti che Jack ha sotto contratto), lui la caccia da casa e rifiuta ogni dialogo. Contemporaneamente, il nostro frequenta un corso (di autostima?) il cui responsabile pretende che gli iscritti tengano un diario nel quale si raccontano senza reticenze. Facile immaginare cosa potrebbe accadere se un simile documento cadesse nelle mani sbagliate
Mike Binder, dopo una carriera ordinaria di attore-regista, si è imposto alla nostra attenzione l’anno scorso con «Reign over Me», una complessa riflessione sull’elaborazione del dolore associata ai drammatici eventi dell’11 settembre. «Il diario di Jack», che potrebbe segnare un passo indietro, in realtà viene prima ed ha subito svariate vicissitudini che l’hanno portato in patria ad un’uscita direttamente in Dvd. A ben guardare, il tutto può sicuramente rappresentare uno studio in previsione del film successivo: un uomo in crisi, il rifiuto di guardarsi dentro, la difficoltà nelle relazioni interpersonali. Ma il protagonista di «Reign over Me» era un uomo qualunque. Jack, invece, è al top di Hollywood.
L’intenzione di Binder, che appare anche come attore nei panni del socio Morty, sarebbe quella di spargere vetriolo sul mondo dei sogni in celluloide mostrando come chi viva e lavori in quell’ambiente, a lungo andare, perda i contatti con la realtà vera finendo per vivere una recita continua proprio come se i sogni raccontati nei film diventassero una sorta di surrogato dell’esistenza in grado di sovrapporsi e prenderne il posto. Niente da eccepire: ma si tratta di storia vecchia, che può essere rinnovata soltanto con esagerazioni e perdite di misura. «Il diario di Jack», per quanto episodicamente brillante e persino tenero, risente del principio dell’accumulo e finisce per affiancare idee buone ad altre strampalate e molto difficili da prendere per buone in un contesto reale. Se da una parte la figura del padre e i ricordi d’infanzia possono costituire un buon punto di partenza, dall’altra l’evoluzione della vicenda con la perdita del diario, l’incursione a Chinatown e tutta una serie di annessi e connessi poco credibili rivela tutti i limiti di una sceneggiatura che, pur di arrivare allo scopo, non esita a saltare da un genere all’altro esasperando ogni tono e fingendo semplicità dove invece si tratta di banalizzazione. Ben Affleck, con la sua rocciosa inespressività, potrebbe anche essere un Jack ideale. Ma il contorno di soci (Mike Binder, Gina Gershon), rivali (Bai Ling) e occasionali maestri (John Cleese, impareggiabile analista dell’inconscio) è obiettivamente troppo fitto e sicuramente più apparente che sostanziale. Alla fine, quella che avrebbe potuto essere una radiografia spietata diventa una commedia divertente ma superficiale. Comunque superiore a tutte quelle che, divertenti ma superficiali, non mostrano alcuna intenzione di guardare un po’ oltre.
IL DIARIO DI JACK (Man about Town) di Mike Binder. Con Ben Affleck, Rebecca Romijn, John Cleese, Bai Ling, Mike Binder. USA 2007; Commedia; Colore