IL CONCERTO

DI FRANCESCO MININNI

E’ evidente che la ricerca dell’armonia suprema da parte del direttore d’orchestra russo Andrei Filipov non si riferisce esclusivamente al «Concerto per violino e orchestra» di Tchaikovskij da eseguire, come una sorta di autopurificazione e rivincita storica, a Parigi al teatro Chatelet, ma che l’autore del film «Il concerto», Radu Mihaileanu, lo estende alla vita, all’esistenza, alla dignità individuale e collettiva, alla convivenza tra popoli e razze. A tutto, insomma.

Ed è anche evidente che in questo «tutto» l’elemento musicale assume una valenza fondamentale: se la libertà può restare un sogno, l’armonia musicale è qualcosa che comunque diventa tangibile, tale da elevare l’animo a vette insospettate e, anche se per un attimo, a fargli dimenticare dov’era e dove dovrà tornare. Non è un caso che il film ad oggi più conosciuto di Mihaileanu sia «Train de vie» (1998), amarissima commedia multietnica su un sogno di libertà dal quale comunque eravamo costretti a risvegliarci per recuperare la fredda dimensione della realtà. «Il concerto», che è sempre una commedia multietnica e, al pari di «Train de vie», pratica l’arte del paradosso, ha invece le caratteristiche di un sogno nel quale ci si possa beatamente continuare a cullare nell’utopia di trasformarlo in realtà.

In questa differenza di percorso non c’è soltanto il desiderio di compiacere il pubblico, ma una urgente esigenza personale da parte di un regista rumeno, figlio di un ebreo comunista costretto a cambiare il proprio cognome da Buchman in Mihaileanu per sfuggire alla doppia persecuzione del nazismo e dello stalinismo. Mihaileanu, insomma, trasforma il tragitto di Andrei in una sorta di viaggio interiore: di chi, lasciato il paese natale con la convinzione che Ceausescu fosse immortale, ha raggiunto una consapevolezza e una maturità che gli consentono di giocare con la Storia in una maniera diversa da «Train de vie». Lì i giochi erano fatti e non si poteva cambiare la destinazione. Qui, invece, il regime è ancora in corsa e ci si può permettere di sbeffeggiarlo per gridare al mondo che, con un po’ di pazienza e di fantasia, tutto cambia.Entrato in possesso di un fax destinato al teatro Bolshoi, Andrei Filipov decide che l’orchestra invitata a Parigi per un concerto al Chatelet è l’unica possibile: la sua. Il punto è che la sua orchestra non esiste più e va ricomposta pezzo per pezzo. Cosa che, tra equilibrismi e paradossi, gli riuscirà sulla linea del traguardo. Andrei avrà così modo di riconquistare la propria dignità, di ottenere un successo straordinario e, grazie all’incontro con la violinista Anne Marie, di ricucire una dolorosa ferita del passato.

Lo stile di Mihaileanu è inconfondibile, sotto certi aspetti equiparabile a certe «zingarate» di Kusturica. Tutta la prima parte, con la ricerca dell’orchestra tra fantasmi del passato, gitani e un mecenate privo di orecchio musicale (che, come il bardo Assurancetourix, finirà legato e imbavagliato per non fare danni durante il concerto), potrebbe addirittura far pensare a una rilettura coloratissima e frenetica della ricostituzione della band di «The Blues Brothers». Ma in realtà il modello principale è proprio «Train de vie», con quell’incrociarsi di razze, travestimenti ed equivoci che sembrano trasformare «Il concerto» quasi in una sorta di remake. Dal momento in cui Andrei sale sul podio, però, tutto cambia: sulle note di Tchaikovskij il direttore ritrova la propria dignità, la violinista apre gli occhi sul proprio passato, i musicisti smettono di essere macchiette e diventano orchestrali di grande valore e il pubblico, sia quello del teatro che quello del cinema, si emoziona arrivando a capire quanti miracoli possano accadere attraverso la musica. Chissà che, quando si dice che le note si alzano verso il cielo, non si dica una verità più grande di quanto si pensi.

«Il concerto» deve molto anche al complesso degli attori, che formano un ensemble nel quale nessuno ruba la scena a nessuno e tutti contribuiscono, come in una bella sinfonia, alla densità del risultato finale. Ma Mélanie Laurent, già Shosanna in «Bastardi senza gloria», è una sensibile Anne Marie e Aleksei Guskov un Andrei capace di trasmettere ogni sfumatura del suo complesso personaggio. E «Il concerto», se anche fosse un sogno, è uno dei film che negli ultimi tempi ci ha fatti tornare a casa più sereni e soddisfatti.

IL CONCERTO (Le concert) di Radu Mihaileanu. Con Aleksei Guskov, Mélanie Laurent, Dmitri Nazarov, Miou-Miou, François Berléand. F/I/ROM/B 2009; Drammatico; Colore.