IL CAVALIERE OSCURO
DI FRANCESCO MININNI
Se Tim Burton era attratto da Batman, niente di male: la sua vocazione di narratore di fiabe nere lo giustificava. Se Sam Raimi si è affezionato a Spiderman, la giustificazione è più o meno la stessa. Ma se l’intellettualissimo Christopher Nolan è già al secondo film su Batman (prima «Batman Begins», ora «Il cavaliere oscuro»), c’è da chiedersi perché. Al di là del budget, della visibilità internazionale e del successo, ci dev’essere qualcos’altro. E c’è. In confronto alle problematiche esistenziali di Batman, quelle di Spiderman diventano ordinaria amministrazione.
In un certo senso Nolan, con il suo modo di rileggere l’eroe in costume da pipistrello, ha rischiato di sfidare il consenso popolare che i fumetti DC riscuotono da anni. Ne «Il cavaliere oscuro», molto più che in «Batman Begins», assistiamo alla messa in scena di un mondo cupo dove, come dice un personaggio, «o muori da eroe o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo». Ma anche dove, per altro, ci è permesso assistere a imprevedibili slanci di generosità, buon senso e umana solidarietà.
Un mondo imprevedibile nel quale un criminale puro come Joker può tenere in scacco una città e meditare di governarla a modo suo forte della certezza che «il caos è equo», che cioè vale per buoni e cattivi e può essere a vantaggio di una sola persona. Un mondo nel quale l’integerrimo procuratore Harvey Dent, traumatizzato dalla morte dell’amata Rachel e da gravissime ustioni al viso, può trasformarsi nel cinico Due Facce, che affida a una moneta la vita o la morte di chiunque.
E un mondo nel quale Bruce Wayne, cioè Batman, è costretto ad interrogarsi sulla propria funzione di intrepido giustiziere in contrapposizione alla prospettiva di essere indicato come responsabile di morti a catena. Ecco, un film su un eroe amato da tutti che si conclude con l’affermazione che questo eroe non è quello di cui Gotham City ha bisogno al momento e con un’ascia impugnata dall’ispettore Gordon che frantuma il riflettore col simbolo del pipistrello usato per chiamare Batman nei momenti di bisogno, deve essere per forza di cose un’operazione meditata che va ben oltre il semplice dato del fumetto.
Rispetto a «Batman Begins», Nolan dimostra un’intelligente inversione di tendenza a livello strutturale. Mentre in quel film tutte le problematiche emergevano nella prima parte per confluire poi in un crescendo di effetti speciali e azione, qui gli inseguimenti e le esplosioni sono affidate alla prima parte del racconto. Nella seconda, invece, emergono il confronto diretto tra Batman e Joker, il caos strisciante che contagia i protagonisti e la cittadinanza tutta, le riflessioni su bene e male e su linee di demarcazione sempre più labili. In questo contesto Batman finisce per assumere un ruolo di comprimario, mentre la parte del leone è affidata a Joker.
E qui entrano in campo le ben note vicissitudini che hanno portato il suo interprete Heath Ledger a morire per overdose di sonniferi con conseguente mitizzazione del fatto che possa essere stata l’intensa interpretazione di Joker a influire pesantemente sulla sua psiche. Che dovremmo dire? Ci sembra che il termine «mitizzazione» sia sufficientemente esplicativo. Di certo la sua interpretazione è inquietante, più di quanto non fosse quella di Jack Nicholson che virava verso il grottesco. A Nolan, invece, il grottesco non interessa. Lui vira verso la realtà.
IL CAVALIERE OSCURO (The Dark Knight) di Christopher Nolan. Con Christian Bale, Heath Ledger, Michael Caine, Maggie Gyllenhaal, Morgan Freeman. USA 2008; Avventura; Colore