Il carrozzone va avanti da sè: «HOLLYWOOD, VERMONT»

DI FRANCESCO MININNI

A quanto pare le colonne portanti del pensiero di David Mamet stanno perdendo un po’ della loro forza. L’ineluttabilità, la cattiveria, lo scambio dei ruoli, le fragili difese psicologiche, il pessimismo sonno sempre presenti: quel che manca sono originalità e rigore. Anzi, pare proprio che il beffardo esistenzialismo de «La casa dei giochi» e «Le cose cambiano», strada facendo, si sia trasformato in un cinismo sotto sotto spettacolare. Se ne «Il colpo» era veramente difficile riconoscere la mano dell’autore, in «Hollywood, Vermont» è tutto più facile. Forse troppo.

Una troupe cinematografica arriva in un paese del Vermont dopo essere stata sfrattata dal New Hampshire. Il film, che sarà girato dal regista Walt Price, prevede una caserma dei pompieri e un vecchio mulino, entrambi presenti sul posto. Almeno finché non si scopre che il mulino è bruciato da quarant’anni e non è stato più ricostruito. Così, mentre lo sceneggiatore tenta di trovare nuove soluzioni e s’innamora di una donna del luogo, il primattore ha un’avventura con una minorenne, un aspirante politicante lo prende di mira per farsi pubblicità, il regista e il produttore tentano di salvare baracca e burattini e la cittadinanza assiste più incuriosita che altro. Tutto finirà secondo le regole di Hollywood: bello di fuori e marcio di dentro. Se da una parte «Hollywood, Vermont» evoca il fantasma un po’ scomodo (in quanto irraggiungibile) di «Effetto notte» di Truffaut, dall’altra si ha l’impressione che l’acido spruzzato da Mamet sulla politica, sul cinema in quanto meccanismo produttivo, sui capricci delle star e sulla «ragion di Stato» che tutto governa, per quanto dettato da un’intelligenza brillante e da un desiderio di verità, finisca per rispondere più alle regole dello spettacolo che a quelle della verità stessa. Sembra, cioè, che per essere veramente riuscito «Hollywood, Vermont» non dovesse essere così piacevole e, a ben guardare, prevedibile. Niente di ciò che i personaggi dicono o fanno, a parte qualche fulminante battuta surreale, rappresenta per noi una sorpresa. È ovvio che una star abbia un vizietto. È ovvio che un produttore sia disposto a tutto pur di salvare il capitale. È ovvio che un film girato in una cittadina di provincia scateni i fantasmi di Peyton Place. È ovvio che un politicante si possa comprare con una valigia piena di dollari. Ed è ovvio che quattro ovvietà in un film di Mamet siano più che sufficienti a non far tornare i conti.A nostro modo di vedere, «Hollywood, Vermont» è poco più di una commedia brillante con qualche pennellata di cattiveria. Per essere a tutti gli effetti un film di David Mamet, invece, avrebbe dovuto essere una commedia cattiva con qualche pennellata di brillantezza. Una sottile distinzione che fa la differenza.

HOLLYWOOD, VERMONT (State and Main) di David Mamet. Con Alec Baldwin, William H. Macy, Sarah Jessica Parker. USA 2000; Commedia; Colore