Il capitale umano

Dino Ossola, ramo edilizio, sogna di scalare i gradini sociali e medita un guadagno sicuro accettando di mettere in gioco anche i soldi che non ha. Per fare ciò sceglie di investire nella finanziaria di Giovanni Bernaschi, che gli garantisce un utile del 40%. Ovviamente le cose non andranno come previsto, anche perché Bernaschi è uno speculatore spericolato e quindi soggetto agli imprevisti del mercato. Poi le mogli. Roberta Morelli, moglie di Ossola, è una psicologa che fa il proprio lavoro con onestà e passione e quindi è fuori dei giochi. Ma Carla Bernaschi, che sogna un teatro e l’indipendenza che non ha, si lascia facilmente coinvolgere nelle speculazioni del marito, facilmente lo tradisce con un intellettuale e sempre facilmente scende a compromessi con se stessa e quel che resta della sua coscienza. Poi i figli. Serena Ossola ha una breve storia con Massimiliano Bernaschi, viziato e strafottente, prima di dedicarsi a Luca, un emarginato irrequieto. Un ciclista investito e ucciso costringerà tutti a guardarsi allo specchio, ma non per questo a cambiare modo di essere o punti di vista.
Il dato positivo de «Il capitale umano» è che, per una volta, Virzì dimostra di sapersi occupare di un argomento senza svariare in troppe strade collaterali. Da ciò emerge un’analisi lucida e spietata di un paese nel quale le colpe dei padri che ricadono sui figli non provocano soltanto infelicità e frustrazione, ma suscitano altre colpe che prefigurano un malessere senza fine. Tutti colpevoli, tutti complici. E se qualcuno pensasse di poter cantare fuori del coro, dovrà rapidamente cambiare idea. Un film denso e ricco di spunti, non c’è dubbio. Ma anche un film con qualche lato oscuro. Intanto la necessità di adattare un thriller americano alla realtà sociale e politica italiana crea qualche distonia: come se in certi snodi narrativi si avvertisse il prevalere dell’una componente sull’altra o una certa difficoltà ad amalgamarle. Poi qualche grossolanità dovuta ad eccessi di passione o di polemica (ci riferiamo in particolare alla fulminea apparizione di un leghista con cravatta e fazzoletto verdi che esalta le qualità di un coro di voci padane). E infine una visione uniformemente pessimista che esclude a priori l’idea stessa di innocenza mostrando un mondo non interamente credibile fatto soltanto di colpevoli a diversi livelli.