IDENTITÀ SOSPETTE

DI FRANCESCO MININNI

I personaggi si chiamano Jeans Jacket (giubbetto di jeans), Broken Nose (naso rotto), Bound Man (uomo legato), Rancher Shirt (camicia da ranchero), Handcuffed Man (uomo ammanettato) e Snakeskin Boots (stivali di pelle di serpente). Quindi «Identità sospette» (in originale semplicemente «Unknown», cioè sconosciuto) potrebbe essere una storia di gangster che, al posto dei nomi, usano pittoreschi nomignoli. E invece la questione è più complessa. Dei sei rammentati, soltanto Snakeskin Boots è sicuramente un malvivente identificato dal particolare delle scarpe. Gli altri cinque non sanno chi sono. È opportuno partire da qui, perché quanto scopriremo in seguito è comunque inferiore alle premesse.

In un capannone nel deserto cinque uomini si risvegliano. Uno è legato, uno è ammanettato e gravemente ferito, gli altri tre si guardano con sospetto non riuscendo a ricordare alcunché di cosa possa averli fatti finire in quella situazione. Qualcuno telefona dall’esterno e annuncia l’imminente arrivo. In una stazione d’autobus, intanto, una donna accompagnata dalla polizia deve lasciare una valigia piena di dollari in un armadietto. Dunque c’è di mezzo un sequestro di persona. Dato il fatto che i cinque reclusi (il capannone non ha uscite praticabili) recuperano la memoria soltanto in forma di flash occasionali, che c’è soltanto una pistola che tutti si contendono e che ciascuno sembra spinto dal movente di fregare tutti gli altri, la priorità assoluta è quella di capire chi sia il delinquente, chi il sequestrato, chi l’eventuale infiltrato e, in seconda battuta, come siano andate veramente le cose. Evidentemente non è un problema di facile soluzione.

Simon Brand, regista colombiano al suo primo lungometraggio, dimostra di saper giocare con l’ambiguità del testo (opera dello sceneggiatore, anch’egli debuttante, Matthew Waynee) almeno quanto basta per costruire un thriller che non fa calare la tensione fino allo scioglimento finale. Naturalmente, quando i nodi vengono al pettine in un garbuglio del genere c’è sempre da fare i conti con qualcosa di troppo o di troppo poco. Ma, nonostante l’evidente meccanicità di un intreccio del genere, bisogna ascrivere al film il merito di saper gettare qualche luce (meglio, ombra) esistenziale su un canovaccio thriller come tanti. Questo porta noi, come i personaggi, a interrogarci su quanto possano essere labili i contorni di un’identità e di conseguenza quanto possa essere legittimo e appropriato domandarsi a più riprese «Chi siamo?». Il che, pur non essendo una novità, se usato correttamente dà sempre risultati interessanti.

Come il cast, fatto di attori conosciuti ma non troppo. James Caviezel («La passione di Cristo»), Greg Kinnear («Qualcosa è cambiato»), Barry Pepper («Il miglio verde»), Joe Pantoliano («Memento») e Peter Stormare («Fargo») hanno le facce giuste per lasciare tutti nel dubbio. Come dire, sappiamo bene di averli visti prima, ma non è detto che ci ricordiamo dove. In considerazione di una stagione già in odore di fondi di magazzino, «Identità sospette» può rappresentare un momento di dignitoso intrattenimento. Anche se il thriller di James Mangold «Identity», ambientato in un motel senza uscita, può reclamare con ragione la qualifica di «precedente». E poi «Gli insospettabili» di Mankiewicz, «L’angelo sterminatore» di Buñuel, «Dieci piccoli indiani» di Clair… Poco male, c’è posto per tutti.

IDENTITÀ SOSPETTE (Unknown) di Simon Brand. Con James Caviezel, Greg Kinnear, Barry Pepper, Joe Pantoliano, Peter Stormare. USA 2006; Thriller; Colore