I nostri ragazzi

Molto attento al sociale, sempre alla ricerca di angoli oscuri da esplorare, De Matteo è sicuramente un buon osservatore e, almeno, un meticoloso lettore di quotidiani con particolare riferimento alla cronaca nera. Tuttavia, senza dare mai l’impressione di speculare su quanto racconta per trasformarlo in semplice spettacolo, corre frequentemente un rischio che devono affrontare tutti i narratori di tematiche socio-criminale: il luogo comune. Parliamo naturalmente del luogo comune in quanto tale e non di quello usato criticamente per rinforzare la denuncia o con scopi ironici.
L’altro problema di De Matteo è la vocazione al pessimismo che si manifesta molto presto nel racconto e lo porta a dare per scontate alcune cose che potrebbero indirizzare l’analisi verso un’altra destinazione. Questa, d’altronde, è una caratteristica caratteriale molto difficile da controllare o modificare e ancora più difficile da catalogare come difetto. «I nostri ragazzi», che arriva a breve distanza da «Il capitale umano» di Virzì e sembra riprenderne alcune caratteristiche, affronta una tematica familiare non nuova: quanto cioè le colpe dei padri possano ricadere sui figli e quanto di conseguenza le colpe dei figli possano essere imputate ai padri.
Due fratelli, il medico Paolo e l’avvocato Massimo, hanno caratteri molto diversi. Il medico è disponibile, scrupoloso, ricco di princìpi. L’avvocato, invece, è cinico, maneggione, disinvolto e pronto a molti compromessi. Paolo è sposato con Clara e ha un figlio maschio, Michele. Massimo ha due figlie: Benedetta, nata dalla prima moglie poi deceduta, e la piccina nata dal nuovo matrimonio con Sofia. Un equilibrio fragile dovuto essenzialmente alla mancanza di reali intoppi si dissolve il giorno in cui Benedetta e Michele, di ritorno da una festa, aggrediscono a calci e pugni una barbona che morirà in ospedale. Clara riconosce i ragazzi nel filmato delle telecamere di sorveglianza. A questo punto le due famiglie si trovano a dover fare scelte pesanti.
E’ evidente che De Matteo non appunta la propria attenzione sul gesto inconsulto dei figli, quanto piuttosto sul carattere e sul comportamento dei padri. Appare chiaro che «I nostri ragazzi» punta l’indice più sulle cause scatenanti che sull’evento in sé. Certo, l’indifferenza dei due ragazzi fa male proprio come la loro convinzione di non aver avuto intenzione di uccidere e quindi di essere in qualche modo giustificati. Ma l’idea che due famiglie pensino più al modo di mettere tutto a tacere o di trovare comunque una scappatoia è ancora più dura da accettare, perché va ben oltre l’amor paterno (o materno) e non tiene alcun conto delle carenze educative, delle conseguenze psicologiche e (scusate se è poco) del rispetto della legge.