«HOTEL RWANDA»

DI FRANCESCO MININNI«Hotel Rwanda» non è un documentario. Non è un melodramma storico. Non è una cronaca di storia recente in forma di fiction. È, più semplicemente, un film di informazione che, senza escludere elementi spettacolari, racconta in modo chiaro e conciso il genocidio del Ruanda nel 1994, quando gli Hutu estremisti avviarono un processo di epurazione nei confronti della minoranza Tutsi e degli Hutu moderati, raccolti sotto la definizione di «scarafaggi». Questa è la storia più nota, anche se, come tutto ciò che proviene dall’Africa, non ha avuto una rilevanza tale da convincere qualcuno a intervenire.

La storia meno nota e più toccante, invece, è quella di Paul Rusesabagina, il direttore di un albergo Sabena che, trovandosi a dover scegliere tra la salvezza per sé e la propria famiglia (lui Hutu con moglie Tutsi) e la sorte di un migliaio di profughi riunitisi nel suo albergo per sfuggire all’epurazione, ascoltò la propria coscienza e rimase sul posto riuscendo a salvare i suoi innocenti protetti dalla cieca violenza dei persecutori e, si direbbe soprattutto, dall’indifferenza delle forze europee presenti e dall’impotenza delle forze dell’Onu.

Diretto da Terry George, che aveva sceneggiato «Nel nome del padre» di Jim Sheridan, «Hotel Rwanda» ha la semplice forza della verità. Non ha bisogno di enfatizzare, di pontificare, di sottolineare: si limita a raccontare un episodio tra tanti e sceglie quello giusto. La vicenda di Paul Rusesabagina, infatti, è la storia di un uomo che, avendo la possibilità di salvare moglie e figli, capisce che in quel momento c’è bisogno di una speranza in più: qualcosa che possa significare sopravvivenza e libertà per molti.

Così «Hotel Rwanda» non è più il racconto della ferita ancora aperta di una storia troppo recente: diventa invece il percorso di un’anima, dove non si parla più di coraggio, incoscienza o volontà, ma soltanto di fede. E dove non ha più una grande importanza esaminare al microscopio il film per trovarvi eventuali difetti di sceneggiatura che, in ogni caso, non potrebbero intaccarne il grandissimo valore umano e sociale.

Terry George dirige con estrema semplicità, avvalendosi di collaboratori professionali che sono tutti al servizio del racconto senza tentare mai di far notare la loro presenza. Le note più liete vengono dal protagonista Don Cheadle che, dopo anni di corretto professionismo industriale («Boogie Nights», «Ocean’s Eleven», ««Ocean’s Twelve») alle spalle di grossi nomi, si ritrova protagonista di una storia vera e riesce a convincere e commuovere senza forzare un tono. La sua nomination all’Oscar ci sembra il riconoscimento più significativo a fronte di un personaggio e di una vicenda non esattamente sulla cresta dell’onda in America.

Il dato più confortante di «Hotel Rwanda» riguarda comunque la possibilità di confrontarsi con una grande verità: nessuna violenza potrà mai distruggere i principi di un uomo. E d’altronde ogni uomo (magari con l’aiuto di altri) potrebbe opporsi con successo a qualunque violenza. In Ruanda, questo è costato un milione di morti. HOTEL RWANDA (Id.) di Terry George. Con Don Cheadle, Sophie Okonedo, Nick Nolte. GB/I/Sudafrica 2004; Drammatico; Colore