HAPPY FAMILY

DI FRANCESCO MININNI

Certo, potremmo rimproverare a Gabriele Salvatores di aver raccontato una storia che, nel suo continuo saltellare dentro e fuori la realtà impedisce un effettivo coinvolgimento lasciando l’impressione che i temi affrontati siano puramente strumentali alle scatole cinesi di cui è fatto il film.

E sbaglieremmo, perché il bello di «Happy Family», al di là del piacere di ritrovarsi in compagnia di amici (che è in sostanza il piacere primario di Salvatores), sta proprio in una sorta di inganno di fondo: pur parlando di famiglie, rapporti generazionali, storie d’amore e ordinarie follie, «Happy Family» parla principalmente di cinema. Il che vuol dire che non serve stare a chiedersi se i personaggi siano reali o frutto di fantasia, se le situazioni facciano riferimento ad analisi sociale o a semplice disamina di luoghi comuni: non c’è alcuna differenza.

Non a caso alla base del film c’è uno sceneggiatore, Ezio, che pur essendo in crisi di idee («Ma non è un problema»), mette mano a una sceneggiatura che prevede due sedicenni intenzionati a sposarsi, l’incontro molto pittoresco delle rispettive famiglie, il totale ribaltamento della situazione iniziale (nessuno si sposerà) e il progressivo spostamento del fuoco dai giovani nati adulti agli adulti che proprio non riescono a crescere. Luoghi comuni, certo, ma messi in scena con grande creatività scenografica, con ritmo, con alla base una sceneggiatura (tratta da un lavoro teatrale) particolarmente brillante e con il supporto di un gruppo di attori singolarmente armonici e per niente interessati a rubarsi la scena l’un l’altro.

In più, la precisa consapevolezza che il luogo comune non deve essere mascherato da analisi sociale: deve essere proprio un luogo comune, di modo che lo spettatore possa continuare a chiedersi se sia più la realtà ad assomigliare alla finzione o viceversa. Così il gioco è fatto: «Happy Family» diventa una simpatica risalita verso una sorta di serenità esistenziale dopo che in «Come Dio comanda» Salvatores aveva deliberatamente esplorato la via della discesa verso l’inferno.

Filippo decide di sposare la coetanea Marta. I genitori di lui, di ceto molto popolare, non sanno bene cosa fare o pensare. I genitori di lei, Vincenzo e Anna, ceto alto borghese, di cose da pensare ne hanno anche troppe. L’incontro è inevitabile: ma nello stesso momento in cui Marta decide di non avere alcuna intenzione di sposarsi, Vincenzo trova nel padre di Filippo una insospettata complicità generazionale e si decide a un viaggio in barca a vela che, in considerazione di una malattia terminale, sarà anche l’ultimo. Qui bisogna fermarsi e non dimenticare che non solo ciò che abbiamo raccontato è frutto della fantasia di Ezio, ma che in qualche strano modo egli stesso è entrato a far parte della storia: siede a tavola con le famiglie e addirittura si innamora di Caterina, sorella maggiore di Filippo. Nella finzione, naturalmente. Nella realtà Caterina è una sua vicina di casa. E il gioco potrebbe continuare all’infinito.

Ferme restando le peculiarità allegramente anarcoidi di Salvatores, che lo portano a scherzare sulla famiglia, sugli spinelli, sui sentimenti, sulla vita e sulla morte ostentando un menefreghismo di facciata che nasconde in realtà una volontà riflessiva di andare oltre l’apparenza, «Happy Family» si lascia vedere con piacere regalando battute fulminanti (la gelateria in Cecenia, dove fu aperto il fuoco sulla stracciatella), autocitazioni da «Marrakech Express», «Turnè» e «Nirvana» a metà tra l’autoconsapevolezza e l’autoironia, evidenti riferimenti ai procedimenti adottati da Woody Allen in «La rosa purpurea del Cairo» e, più ancora, «Harry a pezzi», una consistente spruzzata di Pirandello con la sorridente rilettura dei personaggi in cerca d’autore e, soprattutto, un positivo desiderio di rimettersi in gioco tra suoni e colori che testimonia una vitalità creativa ben lontana dall’esaurimento. Forse è per questo che, a mo’ di monito a tutti quelli che preferiscono adagiarsi sui binari dell’usato senza rischiare niente, il film è dedicato «a chi ha paura».

HAPPY FAMILYdi Gabriele Salvatores. Con Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Fabio De Luigi, Margherita Buy, Carla Signoris.ITALIA 2010; Commedia; Colore