Hammamet

La cosa è prevedibile, e certo Amelio l’aveva messa in conto, perché è evidente che protagonista del film è Bettino Craxi. Ma scambiare Hammamet per un biopic sugli ultimi giorni del leader socialista in esilio significa fare torto al valore simbolico del film, alla sua forza poetica, agli innumerevoli riferimenti al cinema e al teatro che lo attraversano e, naturalmente, alla caratura del suo autore.

Tutti quelli che si accontentano di individuare i personaggi storici presenti nel film senza che ne sia fatto il nome (da sottolineare che neanche di Bettino Craxi si fa mai il nome) dovrebbero chiedersi chi possa mai essere il giovane Fausto, che arriva a Hammamet per consegnare al Presidente una lettera di suo padre morto suicida e viene da lui accolto in casa e addirittura reso partecipe di rivelazioni segrete (che non conosceremo mai) limitandosi a osservare, commentare, criticare, parlare liberamente e persino lanciare accuse.

E perché questo Fausto a un certo punto sparisca. E perché Anita, figlia del Presidente, lo ritrovi in una clinica psichiatrica a confessare di essere stato lui a spingere il padre giù dalla finestra. E perché l’ultima immagine del film sia un sasso che qualcuno lancia forse con una fionda a rompere il vetro di una finestra della clinica, proprio come faceva il Presidente da ragazzo con i vetri della scuola. Amelio ha fatto il possibile per rendere chiaro che Fausto (stesso nome del giovane attore che interpretò Emilio in Colpire al cuore) è un personaggio totalmente simbolico che con il suo essere testimone, giudice, accusatore e persino compagno di viaggio rappresenta un sogno, un desiderio, un’illusione e quindi vale molto più degli altri personaggi, quelli veri.

Soltanto così Hammamet potrà essere valutato nella giusta ottica che non prevede alcuna differenza tra reale e sognato, tra pensieri e parole, tra storia ed elaborazione poetica. È evidente che una simile procedura comporta un gran numero di rischi che si possono riassumere nel pericolo di semplificare o complicare troppo le cose. Questo, naturalmente, se al timone ci fosse un personaggio diverso da Amelio, che invece assembla senza problemi realtà e fantasia e soprattutto dà precisi indizi delle proprie intenzioni.

Tanto per dire, il Presidente e la moglie guardano dei film in televisione: Là dove scende il fiume di Anthony Mann, Secondo amore di Douglas Sirk e Le catene della colpa di Jacques Tourneur. L’epica del western, l’amarezza crudele del melodramma, il fatalismo del noir: tre tasselli che aiutano a decifrare i diversi stili adottati dall’autore a seconda delle circostanze. O anche soltanto frammenti del cinema più amato da far rivivere per qualche istante in qualche inquadratura del film. Che quindi non è realismo duro e puro, ma procede in libertà senza astenersi da citazioni coltissime (Amleto e Re Lear: la solitudine del reggente e la forza dei legami familiari) e da altre evidentemente popolari (tutte le canzoni utilizzate nella colonna musicale a fianco della musica originale di Nicola Piovani).

Alla fine si potrebbe anche pensare di assistere a una rilettura delle grandi tragedie greche. Di sicuro Hammamet non è un film che si pone l’obiettivo di accusare o di difendere, ma soltanto di definire un personaggio e, per quanto possibile, di coglierne l’anima. In questo senso il contributo di Pierfrancesco Favino è assolutamente primario. Poi ognuno potrà fare le proprie considerazioni sul politico, sullo statista, sul leader e persino sull’Italia. Ma forse ad Amelio non interesserà.

 

HAMMAMET

di Gianni Amelio.

Con Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Luca Filippi, Renato Carpentieri, Giuseppe Cederna, Omero Antonutti, Claudia Gerini.

ITALIA 2020; Drammatico; Colore.